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Nuova licenza per i marò La farsa indiana continua

A Girone e Latorre un permesso speciale di quattro settimane per votare in Italia. È un privilegio, ma soprattutto un successo effimero. Condito dalle polemiche

I marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre
I marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre

«Siamo contenti di rientrare in Italia e di poter votare» dichiarano a caldo Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. La Corte suprema indiana ha concesso l'ennesimo «contentino»: il permesso per le elezioni e quattro settimane da trascorrere con i familiari. Ai marò che tornano a casa, anche se temporaneamente, diamo sempre il benvenuto. Però ci chiediamo con preoccupazione se il loro caso politico-giudiziario si stia trasformando in una sceneggiata napoletana, se non una barzelletta da risolvere a colpi di permessi.

Prima è arrivata la licenza per Natale e adesso quella per il voto. A Pasqua i solerti avvocati dei marò potranno chiedere di farli tornare a casa per rompere le uova. Avanti di questo passo le famiglie Girone e Latorre possono già prenotare le vacanze al mare. Il presidente della Corte suprema, Altamas Kabir, così magnanimo con i nostri fucilieri, non negherà le ferie estive.

Peccato che la «tattica» dei permessi non risolva, almeno per ora, il problema di fondo, ovvero il rientro definitivo in patria di Girone e Latorre. Con il rischio che una faccenda seria, con due pescatori indiani morti in alto mare, diventi tragicomica.

Non solo: i marò potevano tranquillamente votare in ambasciata, dove vengono ospitati, come il personale diplomatico. Top secret ogni dettaglio sul volo: non si sa se per imbucare la scheda nelle urne andrà a prenderli un volo speciale di Stato già utilizzato per il rientro natalizio. Se così fosse sarebbe esagerato anche per noi che abbiamo sempre difeso i marò. E chissà cosa pensano i loro compagni del reggimento San Marco a base Tobruk nel deserto afghano? Rischiano la pelle ogni giorno e hanno votato, come tutti gli altri soldati italiani all'estero giorni fa, senza licenze.

L'aspetto schizofrenico è che la Difesa aveva imposto un profilo ancora più basso del solito per evitare strumentalizzazioni in campagna elettorale. Preoccupazione legittima, ma poi i marò piombano in Italia nelle ultime ore prima del voto. Non a caso il ministro degli esteri Giulio Terzi e il premier, Mario Monti, hanno subito cantato vittoria.

In realtà di tratta dell'ennesima vittoria di Pirro. L'India continua a svicolare dalla decisione definitiva sulla giurisdizione. Come a Natale Latorre e Girone hanno dovuto sottoscrivere gli umilianti affidavit in cui si impegnano a tornare a Delhi alla scadenza delle 4 settimane. Idem per l'ambasciatore d'Italia, Daniele Mancini, nel ruolo di garante. È il frutto acerbo di una linea troppo morbida e cavillosa adottata fin dall'inizio dal nostro governo. Invece che afferrare il toro per le corna ci accontentiamo di una soluzione temporanea a tarallucci e vino.

Fonti militari giurano che l'idea del permesso è stata suggerita dagli indiani, che sono impantanati nella loro stessa decisione di istituire una corte speciale per decidere il destino dei marò. E noi facciamo buon viso a cattivo gioco.

Pure i passaporti spariti dei fucilieri sembra un'altra storia alla Totò. L'Ansa ci mette di suo nel condire la telenovela: per vincere la tensione nell'attesa della decisione del massimo tribunale indiano, Latorre ha trascorso la mattinata ammassando chili di farina integrale per preparare alcune pizze (alle melanzane e alla cipolla) consumate poi a pranzo nella residenza dell'ambasciatore. In giacca e cravatta, Latorre e Girone ammettono di «non vedere l'ora di poter riabbracciare famigliari ed amici» fantasticando sulla cena che consumeranno se riusciranno ad essere in Italia già sabato sera. «Cozze, spaghetti alle vongole e gamberoni» elenca Latorre per l'atteso pasto famigliare.

Fino ad oggi i marò avevano affrontato la situazione sempre a testa alta. Speriamo che non vada tutto a finire in una via d'uscita da tipica Italietta... di permesso in permesso.

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