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Gridano tutti, ma c'è il sospetto di un patto segreto

Palazzo Chigi: nessuno scambio con gli elicotteri. Ma l'idea giusta ce l'hanno data gli indiani

I marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre
I marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre

La via d'uscita per la vicenda dei marò è stata praticamente «suggerita» all'Italia dalla stessa Corte Suprema di Delhi.
L'impressione è che nonostante le proteste indiane, almeno il ministro degli Esteri Salman Kurshid in realtà non sia dispiaciuto di essersi liberato di una patata bollente.
E la stampa indiana ipotizza addirittura uno «scambio di favori» fra il caso marò e l'inchiesta che riguarda le supposte tangenti pagate per una vendita di elicotteri italiani a Delhi.
Non solo: Carlo Noviello, il comandante della Lexie, la nave coinvolta nell'incidente che il 15 febbraio dello scorso anno ha dato inizio alla crisi, sostiene con Il Giornale che il peschereccio dove sono morti i due indiani non era quello scambiato per una barca pirata.
Il 18 gennaio la Corte suprema indiana, presieduta da Altamas Kabir, ha emesso una sentenza di 138 pagine che porta i marò a Delhi e apre la strada al loro rientro in Italia per votare.
L'ordinanza cita ripetutamente l'avvocato Harish N. Salve, che ieri ha abbandonato la difesa di Latorre e Girone perchè non tornano in India. Il legale chiama in causa due convenzioni internazionali, il Maritime Zones Act e l'Unclos, riconosciute dall'India. L'articolo 27 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) sancirebbe che l'India non può processare i marò e tantomeno arrestarli per «un reato commesso a bordo di una nave straniera in transito». Un altro cavallo di battaglia dell'avvocato Salve è l'articolo 100 dell'Unclos che invita «tutti i Paesi a cooperare nella massima misura alla repressione della pirateria al di là della giurisdizione dei singoli Stati».
Ed il giudice Kabir ammette che Latorre e Girone hanno la possibilità di appellarsi alla Convenzione dell'Onu sul diritto del mare per contestare «la giurisdizione dell'Unione indiana di investigare sull'incidente» ed in questo caso «il processo agli accusati potrebbe venir riconsiderato». Il governo italiano si è appellato proprio all'Unclos, che prevede un arbitrato internazionale nel caso di dispute fra Stati, per tenere i marò in Italia. Elisabetta Olivi, portavoce del premier Monti, dichiara a il Giornale: «Sul piano del diritto internazionale abbiamo molti argomenti per sostenere la nostra tesi».
La portavoce di Palazzo Chigi smentisce seccamente «qualsiasi "scambio di favori"» fra il caso marò ed il dossier Finmeccanica sugli elicotteri. E sottolinea che per le supposte tangenti «solo la magistratura ha i documenti che gli indiani richiedono, non il governo». La tv «all news» indiana Cnn-Ibn si chiede, invece, «se è davvero un caso», che proprio due giorni fa il governo indiano avrebbe ricevuto da quello italiano informazioni sulla commessa di 12 elicotteri della Agusta Westland all'aviazione indiana.
Sull'onda del mancato rientro dei marò in India affiorano particolari determinanti dell'incidente in alto mare di un anno fa. Noviello, comandante in seconda della Lexie, la nave coinvolta con a bordo i marò, ha confermato a Radio Capital che i fucilieri spararono solo in acqua e non sul peschereccio che si stava avvicinando.
Noviello sostiene con Il Giornale che «durante l'interrogatorio della polizia a Kochi mi hanno mostrato una fotografia del peschereccio che sarebbe stato colpito. Parte del colore e la forma non corrispondevano a quello che ho visto in mare». Secondo il comandante nella foto il gabbiotto del timone era blu, ma «io lo ricordo bianco». La prua nell'immagine della polizia indiana era più alta «rispetto a quella vera». Noviello dichiara di aver fatto mettere tutto a verbale, ma i marò sono finiti in galera lo stesso.
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