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«Faccio ridere ma soffro E sogno l’immortalità»

L’11 maggio Massimo Boldi ha ricevuto il premio Cavallo di Leonardo, creato in occasione del Miff Awards di Milano, giunto alla 10ª edizione. «Di solito quando si riceve un premio lo si dedica a qualcuno. Avrei potuto dedicarlo a mia moglie Marisa che non c’è più. Invece lo dedico alle mie figlie». Sono queste le parole che Boldi ha pronunciato su quel palco stringendo tra le mani il premio. In sala un applauso prolungato ha rotto le risate di poco prima, le tre figlie, Micaela, Manuela e Marta, non hanno potuto trattenere le lacrime.
Massimo, lei non si è solo commosso. Su quel palco ha pianto.
«Avevano proiettato gli spezzoni di molti miei film. Ho rivissuto il mio passato e in quel passato c’era anche Marisa. È scomparsa sei anni fa, ma il ricordo è ancora vivo, ciò che abbiamo costruito è tangibile. Quando penso a lei mi viene ancora il magone».
Jannacci su quel palco ha citato Molière: «Un comico è un tragico visto di spalle».
«Sono ipersensibile. Forse per questo non riesco a parlare serenamente di Marisa. Fare il comico mi viene naturale, ma questo non toglie che io soffra. Soffro le ingiustizie, le situazioni poco chiare, le furbizie, le mascalzonate. Nella mia vita ho sempre agito cercando di non fare male a chi mi è vicino e vorrei ricevere lo stesso trattamento dagli altri... ».
Invece?
«Spesso le delusioni più grandi le hai da chi credevi amico. E questo fa male. Come fa male vedere quelli che muoiono. Ogni persona che scompare è un pezzo di te che va via».
Poco dopo la morte di Marisa lei ha scritto una lettera. Ha detto che a muovere la sua mano è stata lei...
«Dopo due ore che era morta sono tornato a casa dall’ospedale. Ero sconvolto. L’avevo accompagnata nella camera mortuaria. Ho preso carta e penna, mi sono messo a scrivere. La mano andava da sola. Era lei, era ancora lì e aveva qualcosa da dire».
La sente ancora?
«Meno. Però quest’anno in occasione dell’anniversario della morte è successa una cosa strana. Mia figlia Micaela è stata svegliata nella notte dall’iPod che è partito a tutto volume con la canzone Sono come tu mi vuoi. Mentre si avvicinava per spegnerlo ha sentito queste parole: “Non lo vedi che sono a due passi da te?”. Incredibile! Lo stereo era spento da due giorni. Chi l’ha acceso? E perché proprio quella canzone?».
Un’esperienza dura da vivere quella della malattia grave...
«Mi è capitato di dire: “Accetto tutto, qualsiasi cosa purché serva a tenermela vicino per sempre”. Ma in cuor mio avevo già capito che non avrebbe vissuto a lungo. A volte hai la sensazione che è tutto inutile. Poi quando arriva la sentenza, quando ti dicono che resta poco, arriva anche la rassegnazione. E speri che questo poco arrivi subito».
Questo lutto ha contribuito alla separazione professionale da De Sica?
«In un certo senso sì. Quando nel 2004 sono rimasto vedovo ho rivisto la mia vita come un film. Ho visto un passato certo ma finito, in cui c’era anche mia moglie, e un futuro incerto in cui lei non c’era più. Il futuro non poteva più essere come lo avevamo immaginato insieme. Sentivo una voce interna che mi diceva di rinascere per non morire. Di ricominciare. Mio fratello Fabio, che è anche il mio agente e il mio migliore amico, mi sconsigliava di fare questo passo. Ma è stato più forte di me. Ho detto: “Ricomincio. Lo faccio a mio rischio”».
Punto e a capo.
«Sì. E non è stato subito salutare. Fino a che si è uniti si può essere i numeri uno, quando ci si divide si diventa rivali nel migliore dei casi, nemici nel peggiore. Per l’altro diventi un pericolo. Uno stronzo. Uno da combattere».
Una guerra dura?
«Sottile. Non dichiarata. Logorante. Non è stato facile. Come un topolino che si è staccato da un elefante mi sono inserito nello star system continuando a fare il mio lavoro, e ho ottenuto grandi risultati».
Un topolino che ha messo in piedi una casa di produzione, la Mari film e che lavora in partnership con Medusa.
«Con tre film abbiamo portato nelle casse di Medusa 36 milioni di euro. Molti di più se fossimo usciti a Natale invece che a novembre, il mese in cui uscirà anche il prossimo film A Natale mi sposo».
L’onorevole Oliviero Diliberto disse in un’intervista al Corriere della Sera che lei è il cinema italiano.
«Credo che lo disse perché nelle mie macchiette il popolo si riconosce. Sono film in cui si mettono in scena, esasperandoli, i vizi, i difetti, le virtù degli italiani».
Le amanti, i tradimenti…
«La realtà!».
Niente politica?
«No».
Allora niente Cannes.
«Pensa a Draquila? Molti dicono che la Guzzanti è la numero uno. Per me la vera satira è Dario Fo. Lui cavalca il sistema, non il momento. Qui stanno sempre addosso alla stessa persona. Allora non è più satira. Quando c’era Fanfani dicevano che aveva le stringhe delle scarpe che puzzavano di brillantina perché era basso, ma finiva lì. Trent’anni fa se ti permettevi di parlare male di un ministro venivi “fucilato”, cacciato. Ed eravamo “liberi”. Oggi che “non siamo più liberi” gli facciamo fare tutto? Strana ’sta cosa».
Torniamo a lei. In che rapporti è con de Sica?
«Confidenziali. Vede, da quando mi sono allontanato da lui e Filmauro ci sono state troppe incomprensioni a causa delle interviste, una in particolare uscita su Panorama e firmata Sabelli Fioretti. Siamo stati insieme sei ore. Aveva 4 registratori. Era tardi, avevamo fame e l’ho invitato a pranzo. Si mangiava e si parlava. Si dicevano cose buttate lì. E sono uscite quelle. E quella roba lì ha dato il via alle incomprensioni. Uno dice una cosa, l’altro risponde. È montata una cosa assurda. Nessuno di noi lo voleva».
Qual è stata la sua più grande fortuna?
«Arrivare al Derby di Milano dove ho conosciuto dei personaggi straordinari e dove ho incontrato Jannacci. Lui ha visto il mio talento: “Tu non devi stare seduto a guardare. Devi salire sul palco, quello è il tuo posto. Ti aiuto io”. E da lì la mia carriera è partita come un Eurostar».
Dopo il Derby è arrivata Mediaset, che allora aveva un altro nome…
«Il mio personaggio è nato e cresciuto con Mediaset. All’inizio si chiamava Telemilano58 e trasmetteva solo per Milano2, ma si facevano già le cose con eleganza. Ho un bellissimo ricordo di Mike Bongiorno, un uomo straordinario. Faceva un programma con i bambini piccoli, Un sogno nel cassetto, è partita da lì l’avventura di Fininvest con Canale5».
Tra il 1986 e il 1987 ha «tradito», è passato in Rai con Celentano nonostante un contratto in essere. Le hanno fatto causa. Ha perso. Perché lo fece?
«Quando ancora non credi di essere arrivato a un certo punto, sei sempre timido e riservato, poi, quando ti convinci di avercela fatta scoppia la grande vanità. Dici: “Adesso comando io”. E lì pam!, arriva la prima bastonata».
Ha citato «un sogno nel cassetto». Lei ne ha ancora uno?
«Essere immortale».
Una penitenza!
«No. Con la tecnologia si può. A me piace moltissimo. Per Marisa ho creato un sito internet, www.marisaboldi.it, mi sono inventato una cosa bellissima: se vuoi scriverle senti la sua voce. “Ciao, sono Marisa, lasciami un messaggio”. E lei c’è per sempre».


A proposito di immortalità, di futuro, cosa pensa che accadrà nel 2012?
«Finalmente rifarò un film con De Sica, e sarà la fine del mondo!».

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