Economia

La Fiat vola in Borsa Bravo Marchionne Ma ora pensi a fare auto

L'ad del Lingotto sta nel mezzo: tra i buoni risultati finanziari e i problemi nei rapporti sindacali

La Fiat vola in Borsa 
Bravo Marchionne 
Ma ora pensi a fare auto

Gli automobilisti europei non co­noscono il nome dell’amministrato­re delegato della Fiat, non ne hanno discusso appassionatamente sui giornali e in tv la rivoluzionaria filosofia imprenditoriale, non hanno idea di che cosa sia la Fiom e neppure la Confindustria. Quando acquistano una macchina nuova, la scelgono bella, efficiente, robusta, economica, comoda. E non scelgono quasi mai una Fiat. In Europa il Lingotto ha perso a marzo un cliente su cinque, con un crollo delle vendite del 20%; la quota di mercato è scesa in un anno dal 7,9% al 6,7% (in Italia è al 29%, con un ulteriore calo del 2,4%). I giornali italiani hanno relegato nelle pagine dell’economia, e spesso ridotto a un trafiletto, una notizia che dovrebbe almeno sollevare un interrogativo: Marchionne è davvero così bravo? Ci fa, come si dice a Roma, o ci è? E qual è, esattamente, il mestiere per cui viene così profumatamente pagato?

Il successo mediatico del manager Fiat ha dalla sua molte buone ragioni: in un Paese di mozzarelle conservatrici come il nostro, chi predica un po’ di modernità, fa il duro e mostra di avere le idee chiareguadagna una popolarità immediata (soprattutto se la modernizzazione riguarda qualcun altro e non intacca troppi privilegi). Così, Marchionne è subito piaciuto al centrodestra, che ha ritrovato nel suo decisionismo antiburocratico lo spirito del primo Berlusconi; ed è piaciuto anche a un bel pezzo di centrosinistra, che ha riconosciuto in molte sue parole un’autentica impronta riformista. In questi anni, e ancor di più negli ultimi mesi, il manager è stato fatto oggetto di un’autentica beatificazione mediatica multipartisan che gli ha perdonato (quasi) tutto. Compresa l’abitudine a parlar male dell’Italia, più spesso e più convintamente del terribile Bossi.

I giornali hanno elogiato il lavoratoreinstancabile che sfrutta i fusi orari per ridurre le ore di sonno, la dimensione ostentatamente sovrannazionale del suo agire, il tenere con sprezzo la politica fuori dalla porta; il suo maglioncino ha sostituito l’orologio sul polsino nell’immaginario estetico della piccola borghesia; Fabio Fazio lo ha ospitato trionfalmente, e senza neppure una domanda sul salario degli operai, nel salotto buono della sinistra chic; il Foglio ha aperto un dibattito dotto e appassionato sul «modello Marchionne », cioè sulla rivoluzione nel mercato del lavoro e nelle relazioni sindacali di cui il manager italocanadese era insieme il teorico e il condottiero, e che avrebbe finalmente modernizzato l’Italia.

Il solo avversario che Marchionne s’è trovato di fronte,e che a dire il vero è diventato il suo miglior alleato, è la Fiom: che sull’antagonismo da ultimo giapponese ha rilanciato la propria identità e riscaldato qualche cuore, ma che francamente non dovrebbe spaventare nessuno. Il «no» della Fiom, ieri ai cancelli di Pomigliano e Mirafiori e oggi nei tribunali, è la miglior arma di distrazione di massa di cui Marchionne possa disporre. E infatti la sta usando anche in queste ore per la ex Bertone. Ma per quanto gli operai della Fiom possano essere cattivi, fannulloni e assenteisti, non è colpa loro se le Pande e le Punto non se le compra più nessuno. E qui veniamo all’interrogativo iniziale: a che serve Marchionne? Proprio ieri è stato annunciato che il primo trimestre del 2011 si è concluso con un aumento dei ricavi del 7,1%, mentre l’utile della gestione ordinaria è cresciuto del 9%.

Il merito è della Ferrari, della Maserati e della componentistica. Bene, bravi. Gli azionisti applaudono e sono ben felici di staccare un generoso assegno per il loro finanziere di fiducia. Ma le automobili –quelle vere, non quelle da sogno – si vendono sempre di meno, i nuovi modelli non arrivano, il futuro di «Fabbrica Italia» è in forse (per colpa della Fiom, perbacco!), e della grande modernizzazione annunciata è rimasto soltanto il maglioncino. Lo scorso gennaio,dal palco del-l’Automotive News World Congress, Marchionne non rinunciò al vezzo di citare Aristotele: «La differenza fra orgoglio e vanità è che uno merita gli onori, l’altra li riceve ».

Sì, è proprio una bella differenza.

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