Politica

Alla fine Dell’Utri riesce a parlare e presentare i diari di Mussolini

nostro inviato a Como

«Dopo le palate di m…, questo applauso mi ripaga di tutto». È stato con uno sfogo così, sincero come le parole usate, non certo quelle di un conferenziere di professione - «infatti non lo sono, sono un improvvisatore» - che ieri sera il senatore Marcello Dell’Utri ha cancellato in un colpo solo il brutto ricordo della violenta censura subita al Parolario di Como, il 30 agosto scorso, e fatto la pace con il capoluogo lariano. Uomo del resto di humour, piuttosto che di rancori, ha voluto ritornare sulle sponde del lago accogliendo l’invito a presentare alcune pagine dei Diari di Mussolini rivoltogli dal quotidiano comasco L'Ordine.
«Invito che non contiene niente di eroico o di provocatorio - ha precisato il direttore editoriale dell'Ordine (e condirettore del Giornale) Alessandro Sallusti - ma solo il voler rispettare la libertà». E insieme a esso, rendere anche un omaggio alla cultura. Peccato quindi per quelli che hanno paura della Storia - una ventina, più chiassosi che minacciosi - rimasti in strada nella loro ostinazione a protestare contro la presenza del senatore. Peccato, perché si sono persi un’oretta dedicata a un periodo di vicende patrie, quelle del fascismo, che non occorre certo condividere, ma che forse è sempre meglio conoscere. A Dell’Utri, su tutto, l’indiscusso merito di aver reso quell’oretta anche godibile e divertente.
Dei sei libri che saranno editi dalla Bompiani (il primo Diario, quello del ’39, sarà in libreria il prossimo 10 novembre) il senatore ha letto stralci di appunti vergati dal duce tra il ’39 e il ’42. Dopo aver fatto la doverosa premessa che sulla vexata quaestio dell’autenticità di queste pagine - cosa sulla quale lui non ha peraltro dubbi - Dell’Utri ha tagliato corto invitando a lasciar perdere. «Non sono un fanatico dell’autenticità, non sono un calligrafo e men che meno un chimico, sono soltanto un lettore appassionato che, potendo farlo, anticipa. E neppure dei pareri degli storiografi, mi curo, inficiati come sono dalle ideologie. Sono semmai uno speleologo che entra nella storia attraverso gli scritti di chi ne è stato un protagonista. Sono insomma uno di voi, uno che legge e che si fa un’idea».
E l’idea che lui si è fatto del Mussolini scrittore - «ho fatto leggere queste pagine in anticipo anche a Silvio Berlusconi, che ne è rimasto molto colpito» - è quella di una straordinaria capacità di perscrutare l’umana psicologia umana, unita a un’ancor più talentuosa prosa descrittiva che sarebbe riduttivo definire soltanto giornalistica. Come quando fa un imperdibile ritratto del re d’Italia, da lui chiamato «Scucchia» per via del mento pronunciato: «Egli giunge impennacchiato e acidulo. È un vecchietto, solo un vecchietto, che se non fosse maligno com’è, non sarebbe nemmeno antipatico».
Ma dalla lettura fior da fiore di Dell’Utri sono emersi anche passaggi alti e toccanti, come quello rivolto il 13 novembre 1942 al figlio Bruno, morto quattordici mesi prima in un incidente aereo: «Ora i giorni sono passati sui giorni, il tempo passa sul tempo, solo il ricordo disperatamente rimane». E perfino inedite incursioni nelle considerazioni politiche: «Dove ci condurrà l’infrenabile pazzia di Hitler?», si chiede, dal momento che, ammette, «la guerra è irrimediabilmente perduta». E c’è spazio per considerazioni più squisitamente private, come quando si lamenta di dover «riprendere con quegli infidi con cui lavoro, su tutti mio genero (Galeazzo Ciano, ndr), un Bruto che sento capace di qualsiasi azione a mio danno». Uno, oltrettutto, «più presuntuoso che intelligente» considerato che, si rammarica Mussolini, «a rispondere, la materia è sorda».

Come dire: se ieri il problema erano i generi, oggi lo sono i cognati.

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