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Fini: «L’Iran ostacola il processo di pace»

Fini: «L’Iran ostacola il processo di pace»

Si chiariscono gli scopi della dichiarazione del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad che il 26 ottobre scorso ha auspicato la cancellazione di Israele dalla carta politica del mondo. Quella affermazione di principio nascondeva una minaccia ai Paesi arabi che potrebbero riconoscere lo Stato di Israele prendendo spunto dal ritiro da Gaza. Minaccia formulata ieri con grande precisione: «Sarebbe un crimine imperdonabile», ha detto, perché i governi che facessero un simile passo «si troverebbero a fronteggiare l'Umma».
L'Umma è la comunità che raccoglie tutti gli islamici e ha valenza demografica e territoriale. L'Umma è la terra dei fedeli e nessuna parte può essere alienata: solo l'espansione è prevista. Per cui, riconoscere l'esistenza dello Stato di Israele equivale, in questa logica, ad amputare una parte del territorio dell'Islam e sarebbe un'offesa a tutta la comunità islamica.
A chi è indirizzata la minaccia? Non all'Irak, il cui governo è ancora troppo debole. Un po' alla Siria, sotto pressione americana (e francese) per l'assassinio di Hariri. Ma il vero obiettivo è l'Arabia Saudita perché è il Paese-leader della comunità islamica sunnita, maggioritaria, e se facesse questo passo, tutti gli equilibri del Medio Oriente cambierebbero. L'Iran capeggia invece la comunità sciita e con Osama Bin Laden condivide la condanna del regime saudita come corrotto e venduto all'Occidente.
In breve, la secolare guerra per la supremazia nel mondo islamico, tra sunniti e sciiti, è arrivata a una svolta. Prestigio e riconoscimento andranno a chi purificherà tutta la terra della Palestina, cancellando lo Stato d'Israele. I sauditi vi hanno rinunziato, pur senza compiere il passo decisivo del riconoscimento diplomatico. Il calcolo dell'Iran è preciso: se i sauditi fanno quel passo, perdono la leadership morale e religiosa del mondo islamico. Non solo: pongono le premesse per una reazione della massa dei fedeli che travolgerebbero il regime blasfemo e instaurerebbero una Repubblica islamica sul modello iraniano. L'Iran è pronto a fare la sua parte e a raccogliere la leadership, che poi significa egemonia geopolitica nell'area. Ahmadinejad è stato chiaro: «Nel mondo islamico, nessuno ha il diritto di riconoscere questo falso regime», cioè Israele, e con grande sicurezza ha affermato che questa è la linea dettata fin dal 1979 dall'ayatollah Khomeini, condivisa dall'attuale Guida suprema del Paese, ayatollah Ali Khamenei.
È facile immaginare quale prestigio, in tutto il mondo islamico, acquisterebbe l'Iran se, oltre a imporre la sua volontà all'Arabia Saudita, si dotasse entro poco tempo - sei mesi, secondo gli israeliani - dell'arma nucleare. Ieri, per sottolineare il legame tra questi aspetti, Ahmadinejad ha affermato che il suo Paese non fermerà di nuovo l'impianto per la conversione dell'uranio situato a Isfahan, dove l'attività è ripresa in agosto.
Contano poco gli inviti alla prudenza di Mohammad Khatami. Il nuovo presidente è pronto alla prova di forza, forse pensando che George Bush abbia problemi interni così gravi da impedirgli una pronta reazione, ma anche per dare un segnale forte al confinante Irak, dove l'approvazione della Costituzione è ancora lontana dall'avere consolidato un regime pluralistico. Infine, spostando l'attenzione sul piano delle dispute di principio, spera di avere il tempo necessario per sperimentare il suo primo ordigno nucleare e dare al mondo musulmano il grande annunzio.

Adesso la parola spetta all'Arabia Saudita: può coraggiosamente stabilire i rapporti diplomatici con Israele e dare una lezione a Ahmadinejad, oppure può nascondere la testa sotto la sabbia.

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