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Firma contro Saviano che dà del mafioso al Nord

Dall’autore di Gomorra insulti al Carroccio ma non solo. La campagna del Giornale: ADERISCI. Scrittori coraggiosi? La malavita si combatte sul campo / Vittorio Sgarbi. Tutti i ko del pugile scrittore

Firma contro Saviano che dà del mafioso al Nord

S’intitola «Un sogno leghista», è un articolo che Roberto Saviano scrisse nel 2003 per un progetto culturale milanese denominato «Nazione indiana». Sette anni fa Saviano non era ancora il totem odierno, ricco e intoccabile, non aveva ancora partorito il fortunatissimo Gomorra, non scriveva sulla prima pagina di Repubblica e non macinava record di ascolti in Rai. Ma aveva già le idee chiare: lotta alla camorra, e botte alla Lega. Quel sedicente articolo rappresenta i leghisti, ma in generale la gente del Nord, come assassini di immigrati, meridionali e negri. Parla di «armata padana» e fa nomi e cognomi di chi impugna i mitra: Bossi, Maroni, Castelli, Borghezio.

Ci vogliono fegato e stomaco per andare in fondo alla lettura. Quel «sogno leghista» non era l’esito della cattiva digestione dei modesti cibi consentiti dai magri compensi del Manifesto. No, il Saviano d’antan è lo stesso di oggi, feroce con il Nord, settario e fazioso, che non dimentica quel vecchio scritto semiclandestino e lo inserisce nel sito personale nuovo di zecca assieme ai video di Vieni via con me e ai mille link che lo incoronano guru del terzo millennio italiota. Il delirio notturno si apre con un conflitto a fuoco. «“Spara, spara!”. “Ma a chi cazzo sparo, è notte, qui è tutto nero”. “Appunto: spara dove vedi nero, più nero è, più spara! Muoviti che scappano, muoviti che li perdiamo, spara”». Il nero non è il buio della notte ma il colore della pelle dei bersagli che il Saviano in camicia verde insegue manovrando un mitra sulla prua di una nave. È un sottufficiale dell’Armata padana della Repubblica del Nord. «Lascio spazio al mio superiore, inizia a far schizzare l’acqua di colpi. “Via mangiatori di lavoro, prostitute che guadagnano sui nostri piaceri, spacciatori, usurpatori di case, profanatori di chiese, orinatori di crocifissi, morite, cani! A lavorare, padano - mi dice il superiore - non fare il meridionale, spara, spara, o non avrai più lavoro”».

Dopo un po’ arriva il capitano. «“Li abbiamo fatti fuori tutti, trecento più qualche ragazzino. Dovremmo arrivare a 330 extraumani, bel lavoro ragazzi!”». Sottile riferimento al numero di persone massacrate dalle SS alle Fosse Ardeatine, così l’equazione subliminale è completa: leghisti=assassini=nazisti. L’allucinazione savianica continua. «Passiamo vicino a alcune spiagge siciliane: “Spara ai pedalò, spara ai pedalò”. “Ma come - dico - mi sembrano bagnanti italiani, non posso”. “Spara, cazzo! Questi sono meridionali, fanno il bagno mentre al Nord lavorano, mentre i nostri compatrioti sgobbano in fabbrica, vicino alla pressa, al fianco delle vacche, spara! Spara al terrone che mangia sul nostro sudore! Così imparano questi turisti meridionali a godere alle nostre spalle. Bastardi!!”».
Al «porto nordico» la ciurma è attesa da «fuochi d’artificio e migliaia di compatrioti in verde: “Viva l’armata del Nord, morte al Sud, ai negri, ai miserabili!”. Il gerarca maggiore, Umberto Bossi mi avvicina e dice: “A te, suldà del Nord, te demo quest’onoreficenza, perché più di tutti li suldà del Nord hai sfracagnato, sgozzato, ammazzato i negher, i negri, gli arabi, gli africani, gli albanesi appestati che vengono qui, rubano, stuprano e pisciano vicino alle nostre chiese! A te soldato clemente che a differenza dell’americano hai ucciso il negro quando stava per emigrare cioè rubare, e non quando stava a casa sua! Questo ti fa onore, perché significa che sei buono e clemente! Evviva il massacratore, evviva l’Armata del nord!”».

Ma nel bel mezzo dei festeggiamenti Saviano si risveglia «completamente madido di sudore, la fronte unta, il letto inzuppato». Non è stata la maledetta impepata di cozze di Posillipo. «Apro la finestra e sotto casa mia vedo un marasma di bandiere verdi, di inni, va’ pensiero. “Roma merda! Forza Etna, Forza Vesuvio! Fuori i negri dalla Padania! Imam, vi strapperemo la barba riccia e ve la ficcheremo nel culo!” La faccia di Maroni sulle magliette a sfondo verde, come un Che Guevara leghista, i profili affiancati di Bossi, Castelli e Speroni sulle bandiere dei grandi maestri padani, in stile Marx, Lenin, Mao». Che succede? La spiegazione arriva dall’amico Ciro: «Robè, scendi, manifesta, noi siamo i polentoni dei tunisini, dei marocchini, dei libici, dei siriani, anche noi possiamo avere l’autonomia, anche noi possiamo sparare a tutti, non siamo più terroni, anche noi siamo Nord, anche noi siamo ricchezza, non puzziamo più».

C’è pure Borghezio che arringa la folla partenopea battezzata con «i sacri liquidi del segretario Bossi». Non c’è proprio pace per il povero Roberto. «Torno a casa, m’infilo sotto la doccia gelida, esco ancora nudo fuori al balcone, spero di svegliarmi. Invece, ancora bandiere verdi… Spero che tra poco suoni la sveglia, l’avevo programmata per le dieci e trenta». E certo, mica Saviano si alza come gli operai di Melfi o Pomigliano.

Quello sì, sarebbe un vero incubo.

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