Politica

Follia cacciare chi ha salvato l’Inps

di Stefano Lorenzetto

Se in una città fra le più industriose del Nordest un noto editorialista della Repubblica, un professore universitario prudente e preparato, incontra per strada il direttore del quotidiano locale e gli dice che Elsa Fornero è il peggior ministro del Lavoro nella storia d’Italia, la più incompetente nella sua smisurata presunzione, «un’autentica calamità per questo nostro Paese», forse è il caso che il premier Mario Monti cominci a considerare l’ipotesi d’essersi sbagliato. A parte piangere in pubblico (non la biasimo: capita anche a me) e farsi riprendere dai telegiornali in circostanze ufficiali col marito, l’economista Mario Deaglio, che le trotterella al fianco scodinzolante (non sta bene: legittima il sospetto che ne sia la ventriloqua), finora la tagliatrice di teste sabauda s’è segnalata solo per i pasticci che ha combinato, peraltro annunciati con un tono professorale e declamatorio che la rende insopportabile.
Per salvarsi dall’ultimo, quello dei 390.000 «esodati» che con la riforma Fornero sull’età pensionabile si ritrovano senza lavoro, senza stipendio e senza ammortizzatori sociali in attesa di un vitalizio che arriverà fra due o tre anni, il ministro pretende a gran voce la decapitazione di Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Inps. In altre parole vorrebbe privare l’istituto della persona che l’ha fatto funzionare al meglio. Un’aquila, questa donna. Per stare alla folgorante conclusione dell’ex ministro Renato Brunetta, «è come se la Fornero chiedesse le dimissioni della bilancia perché il suo peso non le piace».
Far dimettere il responsabile del più importante ente previdenziale d’Europa (24,5 milioni di iscritti e 35.000 dipendenti) ha più a che vedere con l’allergologia che con l’economia. Non so se avete presente chi erano i presidenti dell’Inps nel passato. C’è stato Massimo Paci, che arrivò al punto di sfiduciare il governo al quale doveva rispondere. C’è stato Gianni Billia, costretto a rassicurare gli italiani dai microfoni di Radio 3: «Non porteremo i libri in tribunale». Ci andò vicino. Del resto era l’Inps di Affittopoli, delle case concesse a prezzi di saldo a politici e sindacalisti. Mastrapasqua lo ebbe in consegna nel 2008, primo presidente nominato all’unanimità da Camera e Senato col consenso di Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Confindustria, Confcommercio, Confartigianato, Confagricoltura. Come l’ha gestito finora? Qualcosa credo d’aver visto il giorno in cui il presidente mi diede appuntamento nel palazzo dell’Eur alle 8, che nel fuso orario di Roma corrispondono alle 5 del mattino di Milano. Questo manager di 52 anni, costretto a vivere sotto scorta, era già arrivato in ufficio alle 7.15, come ogni giorno, in tempo per convocare un quarto d’ora dopo i direttori dei vari dipartimenti. A quella data, dicembre 2010, aveva messo in cascina, dopo anni di passivi da brivido, un attivo di 22 miliardi di euro, oggi saliti a 23 con un patrimonio netto di quasi 41 miliardi depositati presso la Tesoreria dello Stato. Il tutto a fronte di uscite annue pari a 195,8 miliardi, che salgono a 260,8 se si conteggiano le pensioni di Inpdap ed Enpals. Pochi sanno che l’Inps eroga qualcosa come 300 servizi diversi, tanto che il suo bilancio (entrate più uscite) di 574 miliardi (750 se si comprendono anche Inpdap ed Enpals) è il secondo dopo quello dello Stato, con un’incidenza sul Pil pari al 18 per cento per il solo Inps e del 24 per cento includendo le altre due sigle previdenziali. «Si può chiudere un municipio, ma non una sede dell’Inps», mi disse Mastrapasqua in quell’occasione. «Se salta il nostro istituto, va a fuoco l’Italia. A Terzigno, provincia di Napoli, 52 abitanti su 100 sono assistiti da noi».
A me sembra che Mastrapasqua ami più di qualsiasi altro presidente del passato quello che un tempo veniva definito «carrozzone». Questione di imprinting: da bambino già faceva pazientemente la coda agli sportelli dell’Inps. I suoi genitori, Loreto e Rosanna, consulenti del lavoro, se lo portavano appresso negli uffici non potendo permettersi una baby sitter. Laureato in economia e commercio con una tesi sui fondi pensione, il presidente della Previdenza sociale è nato come commercialista esperto nel risanamento di aziende decotte, specialmente romane. Ha riportato in auge il pastificio Pantanella. Ha salvato la clinica Annunziatella. Se nel 1998 l’allora presidente della Comunità ebraica della capitale, Sandro Di Castro, e il rabbino capo Elio Toaff decisero che bisognava fare uno strappo alle tradizioni di cui sono gelosi custodi e affidarsi a lui - un goi, un estraneo - per salvare l’unico ospedale israelitico d’Europa, avranno avuto i loro buoni motivi. E infatti le tre cliniche fra l’Isola Tiberina e la Magliana, che stavano chiudendo strangolate dai debiti, con un anno di terapia Mastrapasqua sono rifiorite e oggi quelli con la stella di David vengono considerati fra i migliori istituti di cura convenzionati.
Mastrapasqua è il presidente che ha strappato alle Regioni e ai Comuni il potere di concessione delle pensioni d’invalidità, lasciando alle Asl solo la visita medica. Ha ordinato di passare ai telegiornali le immagini dei finti ciechi filmati dalle Fiamme gialle mentre leggono il giornale. Ha denunciato alla Corte dei conti, alle Procure e agli Ordini di appartenenza i medici colpevoli d’aver attestato patologie e infermità inesistenti, chiamandoli a risponderne in solido. In tal modo ha fatto diminuire del 20 per cento le domande di nuove pensioni e consentito la revoca di un altro 20 per cento di assegni indebitamente riscossi.
Mastrapasqua è il presidente che come capo dell’audit ha nominato un giovane generale della Guardia di finanza, Flavio Marica, andando a cercarselo a Bari, la regione dove si registra la maggior parte degli 1,2 milioni di cause contro l’Inps, circa il 20 per cento dei processi celebrati in Italia, un’abnormità che comporta un ulteriore esborso di 300 milioni l’anno per spese legali.
Mastrapasqua è il presidente che per primo ha avuto il coraggio di denunciare come nella sola Foggia sia pendente circa il 15 per cento dell’intero contenzioso nazionale dell’Inps e come tutti i 46.000 falsi braccianti iscritti nelle liste avessero fatto causa all’istituto. Di più: s’è recato di persona nel capoluogo pugliese a indagare e ha scoperto che l’ente previdenziale era costretto a difendersi da ricorsi presentati anche quattro o cinque volte da vari avvocati, o addirittura sempre dallo stesso legale, nell’interesse di un unico assistito e sempre per la medesima prestazione pensionistica. Risultato: su 122.000 cause, 25.000 sono state spontaneamente ritirate dalla mattina alla sera. Spesso gli avvocati le avevano avviate a nome di persone morte o inesistenti.
Se c’è un tecnico che avrebbe diritto a stare nel governo dei tecnici, questi è Mastrapasqua. Per sua fortuna, e per nostra disgrazia, dovremo tenerci la Fornero.
stefano.

lorenzetto@ilgiornale.it

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