Cultura e Spettacoli

Gemelli, un antiebreo nel nome del padre

Un saggio di Franco Cuomo sui firmatari del «Manifesto della razza» del 1938

Il regime fascista doveva approdare necessariamente al nazismo. Non solo per la sua alleanza alla Germania razzista; non solo per rafforzare lo spirito di un popolo che si voleva di origini romane, guerriero e imperiale. Da secoli la Chiesa cattolica diffondeva sulla penisola - soprattutto a opera dei gesuiti, nelle parrocchie e durante le funzioni religiose - chiarissimi messaggi antiebraici contro un popolo «deicida», mestatore e affarista che non si poteva e non si doveva integrare in nessuna comunità. C’è poi da tenere presente (lo si dimentica quasi sempre, per interesse fazioso o per ignoranza) che prima della seconda guerra mondiale e di quanto si scoprì sui campi di sterminio nazisti, in tutto il mondo il razzismo era un atteggiamento culturale diffuso quanto tollerato, accettato, non così pernicioso e disprezzabile com’è oggi.
Il regime dunque non avrebbe avuto nessun bisogno di giustificare la propria volontà di applicare un razzismo di Stato, ma lo volle fare per dargli anche una credibilità scientifica. Nell’estate del 1938 nacque così, prima delle leggi conseguenti, Il Manifesto della razza, noto anche come Manifesto degli scienziati razzisti. Non erano tutti scienziati, né di primo piano (non nominiamoli neppure), né portarono teorie e dimostrazioni scientifiche alle loro tesi di una «pura» razza italiana e ariana, come alla pretesa di una inferiorità e pericolosità ebraica. Eppure il loro testo, ispirato da Mussolini in persona, bastò a giustificare le leggi successive e carriere che - molto meno comprensibilmente - nella maggior parte dei casi proseguirono anche dopo la guerra e la caduta del regime.
Ne nacque anche una serie di istituti, istituzioni e collegamenti con il razzismo tedesco che, durante la disgraziata fase della guerra civile del 1943-45, portò a una fattiva collaborazione fascista per lo smistamento in Germania di gran parte dei 58mila ebrei italiani, molti dei quali fascisti fin dalla marcia su Roma.
Benché sia più un pamphlet che un libro di analisi storiografica, è dunque utile (e documentato) il recentissimo libro di Franco Cuomo I dieci. Chi erano gli scienziati italiani che firmarono il «Manifesto della razza» (Baldini Castoldi Dalai, pagg. 274, euro 14,50). Utile a definire non solo la posizione e la responsabilità dei dieci, ma anche quella di tanti studiosi e personalità dei troppi intellettuali che si compromisero non poco con il razzismo fascista, da Giovanni Papini al giovane Giorgio Bocca, da Amintore Fanfani (ancora soltanto un brillante docente di economia corporativa all’Università Cattolica di Milano) a Agostino Gemelli, fondatore e «padrone» di quell’università. Ma è significativo che le polemiche nate attorno al libro di Cuomo vertano soltanto attorno alla figura di Gemelli, invece che sulla società e sull’intelligenza italiana. Allo stesso modo spesso si fa di papa Pio XII l’unico responsabile del razzismo cattolico, senza badare alla diffusa e non indifferente responsabilità della Chiesa tutta e di tantissimi credenti. Da una parte infatti infierisce con gioia un anticlericalismo di maniera, dall’altra risponde con ancora maggiore furia lo sdegno del tutto ingiustificato di tanti cattolici che difendono a priori il medico, poi francescano, di cui è in corso una difficile causa di canonizzazione che questo libro rende ancora più ardua.
Che Agostino Gemelli fosse un francescano ben difforme dal fondatore dell’ordine lo si deduce da tutta la sua vita, nonché dai suoi studi e dalle sue posizioni politiche e interne alla Chiesa. È acclarato anche dal comportamento persecutorio che ebbe verso uomini diversamente cristiani, come padre Pio da Pietrelcina (visionario fanatico o no che fosse) e ancora di più dalle trappole e dagli inganni delinquenziali che tese a un sant’uomo (per quanto scomunicato) come don Eugenio Buonaiuti, sacerdote e uno dei dodici non firmatari del giuramento fascista imposto ai docenti universitari nel 1931. Oggi da molte parti dell’intelligenza cattolica si vuole a tutti i costi difendere Gemelli - all’epoca molto stimato dai nazisti - dall’accusa di essere stato razzista e antisemita, ma è opera ridicola, come voler difendere Achille Starace, che nel 1938 in occasione del suicidio dell’editore ebreo Angelo Fortunato Formaggini - a causa delle leggi razziali - commentò: «È morto proprio come un ebreo: si è gettato da una torre per risparmiare un colpo di pistola». Quattordici anni prima, in occasione del suicidio di Felice Momigliano, Gemelli scrisse sulla rivista dell’università, Vita e Pensiero: «Se insieme con il positivismo, il libero pensiero e Momigliano morissero tutti i Giudei che continuano l’opera dei Giudei che hanno crocifisso Nostro Signore, non è vero che tutto il mondo starebbe meglio? Sarebbe una liberazione».

Occorre altro? Si vada a leggere il libro di Cuomo.

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