Cultura e Spettacoli

UNA GENERAZIONE INDECISA A TUTTO

Il protagonista di un romanzo di Benjamin Kunkel soffre di abulia cronica. Eroe del nostro tempo o relitto post moderno? Ai contemporanei l’ardua sentenza

C’è una terra dove gli uomini non sanno scegliere. Qualcuno può pensare che sia una delle tante città invisibili di Calvino o un viaggio di Gulliver. Questa terra invece è molto più vicina e la gente che ci vive passeggia con te lungo le stesse strade, negli uffici dove lavori, davanti alla mappa della metropolitana, mentre segue con il dito le linee gialle, verdi o rosse. È la ragazza con cui stai a cena incantata davanti alla carta del cibo che dopo un quarto d’ora di ipotesi e ripensamenti ti chiede: «Tu che prendi?». E in quel momento vorresti ucciderla. È il neo laureato su cui cade la vera domanda metafisica di questi tempi, che non ha nulla a che fare con Dio, l’origine dell’uomo, il principio o la fine: «Cosa farai da grande?». Lui, l’ex studente, ti guarda e come il computer di Douglas Adams in Guida galattica per gli autostoppisti (Mondadori) risponde: «La risposta a tutto è 42. Se non vi sembra una risposta soddisfacente, è perché non conoscete la formulazione esatta della domanda».
L’eroe di questa terra e di questi tempi si chiama Dwight B. Wilmerding, ha ventotto anni, una buona famiglia alle spalle (i genitori divorziati da poco, un’amata - anche troppo - sorella maggiore, Alice). È laureato in filosofia e risponde all’help desk del colosso farmaceutico Pfizer. Vive a New York insieme a tre amici, ha una ragazza molto bella, si impasticca parecchio ed è indeciso a tutto. Non sa scegliere cosa mangiare, cosa fare, con chi stare, dove andare. Come Rosencrantz e Guildenstern prima di qualsiasi scelta si limita a lanciare in aria una monetina (ma per i due servitori di Amleto, nel testo di Tom Stoppard, la moneta diceva sempre croce).
Dwight è il protagonista di Indecision, il romanzo di Benjamin Kunkel. Il suo ritratto è più o meno questo: «Mi sentivo più lento che stupido, e avevo il sospetto che quello fosse sempre stato il mio problema. Forse il mio metabolismo temporale lento non era attrezzato per digerire efficacemente la vita moderna; o postmoderna».
DWIGHT VS OBLOMOV. La malattia di Dwight è una forma di abulia cronica. Kunkel, l’autore, si racconta come testimone della nascita di una nuova razza umana, precaria e metropolitana, con pochi interessi e nessuna passione, in cui la libido è ridotta e il senso di responsabilità non esiste. La soluzione, suggerisce il romanzo, è un farmaco, l’Abulinix. Il suo principio attivo è una truffa. L’Abulinix infatti è un placebo e il sospetto è che funzioni come una qualsiasi ideologia. L’abulia di Dwight ricorda un suo antenato del XIX secolo, Il’jà Il’ic Oblomov, l’eroe di Goncarov. Oblomov è ozioso come solo un filantropo in tempi di mercantilismo può esserlo. Il suo non è ozio, ma è un lento vagare dell’anima, è il torpore di chi guarda, con gli occhi semichiusi, l’agitazione inutile del mondo, senza esprimere giudizi, ma rallentando i ritmi del cuore per poter sognare.
Oblomov evoca la parola oblomok, scheggia, frammento. Un termine forse rubato da una lirica pubblicata da Evgenij Baratynskij nel 1842: «La superstizione: questa scheggia di un’antica verità. Crollò il tempio e in quelle rovine il postero legge un muto enigma privo di senso». Dwight e Oblomov vengono da un mondo che ha visto crollare i suoi templi. Ma fra di loro c’è la differenza del tempo. Dwight è un Oblomov che ha attraversato il Novecento. L’abulia dell’eroe di Goncarov nasce da un annichilimento della volontà. Il pallido eroe di Kunkel ha frantumato il pensiero. Non sceglie non perché non vuole scegliere, ma semplicemente perché non sa scegliere. Dwight ha troppi desideri, troppe suggestioni, ma non ha identità. In un mondo frantumato l’io deve essere forte, ma la filosofia di Dwight, e dei suoi cloni, ricorda il modo in cui Hegel liquidò il pensiero di Shelling: una notte scura in cui tutte le vacche sono nere.
IL LICENZIAMENTO DI ADAMO. La generazione di Dwight ha subito il tradimento di Dio. Quando Adamo fu cacciato dal paradiso terrestre, il creatore lo liquidò con un patto-maledizione: ti guadagnerai il pane con il sudore della fronte. Il lavoro era fatica, ma anche l’ormeggio dopo l’addio all’Eden. Dio strappava Adamo dall’assoluto e lo faceva cadere nel mondo dell’incertezza, alla navigazione senza bussola. Il lavoro avrebbe contribuito a definire la sua identità. La società chiusa, tradizionale, era radicata alla terra. L’uomo si identificava con il suolo, con i confini dei campi, con la venerazione dei padri. Il passaggio successivo è la piazza, luogo di scambi e di opinioni, dialogo e commercio, politica e denaro. È la nascita della polis, il passaggio dalla comunità alla cittadinanza. La modernità s’identifica, come luogo, con la fabbrica, che segna l’ingresso delle moltitudini nella storia, l’emancipazione dell’operaio massa.
Dwight, che ha studiato filosofia, queste cose le sa. Pensa di essere arrivato tardi all’appuntamento con la storia. E ha nostalgia di qualcosa che non ha conosciuto. Ha capito comunque che il principio d’identità, al tramonto della modernità, è il call center, il santuario del Dio dell’incertezza, il lavoro come dimensione precaria della vita, qualcosa che non ti accompagna dalla culla alla tomba, ma limita i tuoi orizzonti al quotidiano. Dwight non vede il futuro, non ricorda il passato e ha un’idea del presente confusa e frammentaria. E a un suo amico chiede: chi possiamo incolpare per tutto questo schifo? «Potremmo incolpare la generazione immediatamente precedente. Etichettandola come malvagia usurpatrice di un regime buono e giusto durato per un lunghissimo tempo. E poi potremmo ucciderli».
ITACA ADDIO. Le relazioni che regolano la terra di Indecision si basano sul principio della liquidità di Zygmunt Baumann. La famiglia non garantisce più stabilità, la comunità di amici ha le stimmate dell’adolescenza infinita, i sentimenti sono un universo ambiguo. Le donne di Indecision pensano, amano e si muovono come cloni di Sex and the City e come Bibbia hanno Vanity Fair. Le ragazze sono quasi per definizione bisex. Ed è una scelta che non ha nulla a che fare con l’omosessualità. L’amore saffico è solo un’alternativa al «piacere maschile».
Dwight avrebbe poi anche serie difficoltà a definire cosa sia un essere umano. Come tutti sembra interrogarsi sul grado di coscienza e di vita dell’embrione. Nutre dubbi sulla selezione genetica, ma ha fiducia nelle capacità biotecniche della scienza (non nella sua etica). Ha letto abbastanza fantascienza da poter disquisire per ore sulle conseguenze della clonazione, parlando di doppio, immortalità, identità. Ma non ha idea di dove finisca l’uomo e cominci il post-umano.
Benjamin Kunkel ha definito se stesso e i personaggi del suo romanzo «indecisi a tutto». Il commento rubato su un blog di una sua coetanea: «Tu pensi che il nostro problema sia navigare. Credi che siamo troppo immaturi per affrontare il mare aperto. Tu ci accusi di non avere il coraggio di Ulisse. Nulla di tutto questo. Il problema non è il mare, ma la casa.

Non sappiamo dove e cosa sia quell’isola chiamata Itaca».

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