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Genio, rock e visioni. I Led Zeppelin da cinema restano una lezione

Il film-concerto del 1973 arriva rimasterizzato nelle sale. I video "extra" sono folli. Ma la musica è straordinaria

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Insomma se si vuole un'idea di che cosa fosse il rock negli anni Settanta basta vedere The song remains the same, il film dei Led Zeppelin che per la prima volta arriva nelle sale in versione rimasterizzata (il 25, 26 e 27 marzo). Talento e improvvisazione. Follia e virtuosismo. È il riassunto molto libero dei concerti del 27, 28 e 29 luglio 1973 al Madison Square Garden quando i Led Zep erano obiettivamente al massimo di tutto, oppure al minimo dipende dai punti di vista. Arrivavano da cinque dischi di totale valore e da tournèe tutte esaurite affrontate con un Boeing privato carico di droghe e groupies e sul palco erano quasi sempre superlativi (ma magicamente non in quelle tre serate).

Dunque ci voleva la follia che consacrasse il fenomeno più grande dopo lo scioglimento dei Beatles. Un disco dal vivo, come voleva Jimmy Page visto che i «concorrenti» Deep Purple avevano appena pubblicato Made in Japan che era venerato da tutti e faceva rosicare molto tutti gli altri. Oppure un film che documentasse anche visivamente che cosa fossero Robert Plant, Jimmy Page, John Bonham e John Paul Jones quando accendevano gli amplificatori sul palco. Fenomenali. Tuttora inarrivabili.

Si decide per il film, viene convocato un regista per filmare i tre concerti ma sbaglia pure la lunghezza delle pellicole e non avvisa manco i musicisti. Come ha confermato lui stesso, John Paul Jones non sapeva delle riprese «poi sono salito sul palco e ho visto le macchine da presa pronte a girare».

Quindi da una parte c'era il talento selvaggio di uno dei gruppi decisivi nella storia della musica leggera. Dall'altra c'era tutto il resto, ossia le dipendenze di Page, Bonham e di quasi tutto lo staff e l'ingenuità di artisti totalmente privi di confidenza con strategie comunicative che oggi sono il «core business» di chiunque abbia successo.

Per capirci, il primo montaggio del film fu un disastro, la band si arrabbiò e il feroce manager Peter Grant licenziò il regista Joe Massot e assunse Peter Clifton che, erano ormai passati tanti mesi, provò a «tappare» i buchi inventandosi stratagemmi come riprodurre il palco del Madison negli studi di Londra. Però c'erano limiti insormontabili tipo la lunghezza dei capelli di Robert Plant (nel frattempo diventati più corti) e di girovita di John Bonham che gli eccessi alcolici avevano drasticamente allargato.

Alla fine esce un film che è costato una follia (il più caro di questo tipo negli anni Settanta) ed è ricamato da materiale backstage, chiamiamolo «fantasy», che ora fa quasi tenerezza tanto è filmato male (in 16 millimetri) e tanto è «psicoadolescenziale», nel senso che rappresenta scenette come Plant che da cavaliere salva una damigella in pericolo.

In più, proprio mentre si pensava a soluzioni alternative, Plant si sbriciolò il bacino in un incidente stradale in Grecia. Quindi prendere o lasciare. E The song remains the same uscì nelle sale così com'era.

Però c'è anche la musica. Anzi, soprattutto la musica. Già alla prima Rock'n'roll si possono prendere appunti per il manuale di un concerto rock. Plant canta quasi sempre un'ottava sopra e non sbaglia quasi mai. E la cavalcata di Page in Whole lotta love, ruvida scatenata inarrestabile, umilia ancor oggi il novanta per cento di chi accende una chitarra sul palco. Perciò il docufilm (oggi si dice così) di sicuro è una manna per chi già conosce questa band.

Ma dovrebbe diventarlo anche per chi vuol conoscere cosa sia stata un'epoca che oggi piace ancora di più perché è semplicemente irripetibile.

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