Cronache

«Peccato che ti sia fermato alle figure»

(...) Genova è nei fatti una città di sinistra, come dimostrano i voti riportati dai diversi schieramenti a qualsiasi elezione, politica e amministrativa, dal 1946 in poi. È una città che ha una tradizione di lotte operaie e di antifascismo: basterebbe la medaglia d'oro sul Gonfalone del Comune a sottolinearlo. E quindi come tale è raccontata, i miei occhi e i miei innamoramenti c'entrano poco. Il fatto fondamentale è che un cronista vero, semplicemente, racconta ciò che vede. O che ascolta. E non dà giudizi. O forse è questo che non piace a Pistacchi e a tutti coloro che invece amano la litania degli aggettivi e delle accuse sdegnate, la retorica delle «belve»?
Mario Rossi, che ha sparato e ucciso Alessandro Floris, nel libro ne parla come di una «persona di cui ho un immenso rispetto, un lavoratore, un uomo che ammiro». È un uomo che ha passato vent'anni in prigione, Rossi, e ammette di avere sbagliato. Perché non dirlo? Gli si può credere o meno, ma lui non nega mai gli errori, aver sparato quella mattina in primo luogo. Ma se Rossi e gli altri intervistati concordano che la violenza politica non ha alcun senso - anche riferendosi al ferimento Adinolfi - rivendicano, questo sì, un'idea che c'era «prima», in quegli anni confusi e difficili; quelli della bomba di piazza Fontana, di quel temuto golpe che Gianni Plinio nel suo commento garantisce «che non ci fu se non nelle menti obnubilate e contorte di certi nostrani esponenti della sinistra» e che invece è stato confermato dalle carte dei giudici. E certo, il Pci aveva delle responsabilità, come ancora scrive Plinio: se la curiosità spingesse a leggere il libro davvero, si potrebbe scoprire come furono esitanti certe posizioni del Partito Comunista di fronte ai movimenti, e di totale chiusura rispetto ad una appartenenza politica dei membri della XXII Ottobre.
Un peccato quindi fermarsi alla copertina (peraltro interessante, visto che riporta l'intera sequenza della sparatoria di via Banderali ripresa da Ilio Galletta e non l'unico scatto che, ancora una volta, è erroneamente indicato come «la foto con Rossi che spara a Floris». Ed è un peccato perché il nostro oggi ha bisogno di essere capito anche attraverso quei fatti della storia recente che sono ancora oscuri. Ma che per fortuna hanno ancora testimoni e protagonisti da intervistare.
Non certo per trovare «una sottile teoria giustificazionista», come leggo che avrei voluto fare. Un giornalista, un autore, non scrive per dare giustificazioni non richieste da nessuno: scrive perché ha voglia di capire. E, quindi, di proporre temi, fatti e testimonianze che aiutino anche altri, a capire. O comunque, a farsi un'idea, diversa dagli stereotipi e dai preconcetti ideologici.
Secondo Diego Pistacchi, chi scrive «si pone come giornalista che raccoglie fatti e soprattutto testimonianze». Una premessa necessaria: diversamente da Barbara D'Urso mentre regge il microfono a Berlusconi fingendo di intervistarlo, non mi pongo, ma lavoro come giornalista da tre decenni abbondanti, ahimè.

Senza mai perdere la voglia di andare oltre la copertina dei libri e l'omologazione del ricordo per sentito dire.

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