Cronache

È genovese il «guardiano» delle Olimpiadi

Dieci anni fa. Un'estate. Mario Kaiser fa la valigia per tre mesi. È appena laureato in architettura a Genova, ha molti sogni e un mito, Renzo Piano, «un architetto mai uguale a se stesso. L'essenza del genio». Kaiser pensa che un viaggio all'estero sia salutare. Che respirare un po' di aria viziata della City di Londra faccia male ai polmoni ma sia utile al cervello. Che il suo inglese scolastico imparato al liceo classico D'Oria non sia sufficiente, ma che alla fine non importi più di tanto.
Essere poliglotti non sembra essere un sintomo di intelligenza. Se si è stupidi lo si è anche in cinque lingue diverse. E poi gli inglesi hanno da sempre apprezzato chi si mette in gioco. Loro, spesso, parlano solo la loro lingua, condita con qualche parola di italiano culinario o dantesco. Di solito a uno che parla stentatamente l'idioma del mondo, per metterlo a proprio agio, dicono «Your English is better than my Italian» - il tuo inglese è migliore del mio italiano.
Insomma Kaiser prende coraggio e un biglietto d'aereo. In meno di tre ore è nel cuore dell'architettura del mondo. Un muscolo tachicardico che batte anche d'estate. A Londra, d'estate si lavora. Forse perché gli Inglesi non riescono a percepire la differenza con l'inverno. In ogni caso, Kaiser è spensierato. Pensa a questi suoi tre mesi d'oltremanica come una vacanza da grand tour alla rovescia. Un viaggio studio per le sue cellule cerebrali. Non sa ancora che quello che è provvisorio spesso diventa definitivo.
E che da Londra, Kaiser non se ne andrà più, almeno per un lustro, se non due. Entra in Arup, una mega agenzia di progettazione globale, che abbraccia tutte le funzioni progettuali, dai test di impatto automobilisci alle strutture simbolo che cambiamo l'aspetto di un'intera città come il Millenium Bridge. È apprezzatissimo. La carriera procede brillantemente. Il progetto su cui lavora per anni si aggiudica lo Stirling Prize, l'oscar londinese per l'archittettura.
Quando il Times lancia un concorso per architetti disposti a supervisionare i lavori delle Olimpiadi, Kaiser ha tutte le carte in regola. Recupera quello spirito un po' sfacciato che lo aveva spinto al di là della Manica, e invia il suo curriculum. Breve, sintetico, come vogliono qui.
Le Olimpiadi lo affascinano. Sono per lui un'enorme vetrina mondiale, un expò architettonico, un circo di strutture avvenieristiche. Ma Kaiser spedisce la mail come un messaggio in bottiglia. Crede nei sogni, come una delle misure principali della grandezza di un uomo, ma certamente non crede che si avverino tutti. Londra non è Disney World.
2007. Un'altra estate. Una delle peggiori a dire il vero. Piove sempre, global warming o no, mezza Inghilterra torna a casa in canotto. E non è uno scherzo humoristico, anche se in questo paese di ottimisti, tutti continuano ad andare in giro con macchine d'epoca senza capotte e a giocare a tennis all'aperto. La risposta arriva puntuale come la pioggia. Kaiser è stato scelto tra un numero imprecisato (che facilmente si può immaginare immenso) di aspiranti. È Principal Design Advisor delle Olimpiadi 2012. Qui la chiamano meritocrazia. Vogliono i migliori, non gli amici. È dunque Kaiser che, insieme ad un team di una decina di persone, dovrà «sorvegliare» le Olimpiadi. Tradotto per i più è lui che, per conto del Governo dovrà supervisionare tutti i progetti del Parco Olimpico: tre chilometri quadrati per uno di città avvenieristica, una zolla di futuro ritagliata in 250 ettari a nord di Greenwich, dopo l'abbattimento e la riconversione di un'intera zona industriale.
Il conto alla rovescia non permette rilassamenti. Nel 2012 la città olimpica deve essere pronta. Kaiser pure. Dovrà aver controllato che i tempi siano stati rispettati, che i progetti siano rimasti nel budget, che la qualità sia stata mantenuta. Nome nume. Niente da dire. Un lavoro da nulla. Soprattutto se si considerano i numeri di una operazione di parecchi miliardi di sterline, intraducibile in vecchie lire.
Sarà il parco urbano più grande d'Europa, il primo ad essere progettato di nuova generazione, da centocinquantanni ad oggi. Un enorme manifesto di architettura biologica. Per chi ci vivrà, un cocoon, una super-città di salute e benessere. La grande sfida poi inizierà a giochi conclusi. Dopo aver costruito l'Olimpia del futuro, si dovrà smontarla. Sì. Le olimpiadi inglesi saranno all'insegna del Legacy, ovvero dell'eredità che la città vuole avere indietro.
Le enormi strutture saranno ridimensionate in due anni, e nel 2014, la città si ritroverà un quartiere ecologico a un passo dalla City, con tutte le facilities possibili. Una vera città del futuro. Dopo aver visto la città Olimpica, mi fa quasi impressione parlare con Kaiser e pensare che sarà l'Argo dai mille occhi, l'unico italiano dell'Oda, l'Olimpic Delivery Authority, l'agenzia governativa che deve portare a compimento il progetto. Sotto di loro, nella piramide organizzativa, circa 600 persone del Clm, il consorzio che deve creare il mega evento. Provo a scherzare: «Oltre al tuo nome, già di per sé benaugurante, ti servirà anche una calma olimpica...». Ma Kaiser sorride tranquillo. Non aveva fatto il Liceo classico?
E poi è abituato all'estate. Nella sua vita sembra succedere tutto in quella stagione. E, neppure a dirlo, le Olimpiadi 2012 saranno d'agosto. Il 27.

Sono sicura che Kaiser ci andrà preparato meglio di un atleta.

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