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Giornalisti, l'Fnsi getta la maschera

Siddi, presidente della Fnsi: "Le querele? Scendiamo in piazza per Repubblica e non per il Giornale perché si comporta da partito"

Giornalisti, l'Fnsi getta la maschera

Giorni a scervellarsi e poi bastava chiedere al sindacato. Domanda: perché la Federazione nazionale della stampa difende Repubblica dalle querele del premier e non il Giornale da quelle del presidente della Camera? Semplice: attaccando Berlusconi, Repubblica ha dimostrato di essere stampa libera. Criticando Fini invece, il Giornale ha dimostrato di essere stampa «militare».

Presidente Franco Siddi, va di moda fare dieci domande, ma noi ne abbiamo solo una.
«Abbiamo appena rinviato la manifestazione per la libertà di stampa, in omaggio ai nostri soldati morti in Afghanistan. Volete farla lo stesso?».

Vale sempre: perché se Berlusconi querela «la Repubblica» la Fnsi scende in piazza e se Fini querela «il Giornale» non fiata?
«Voglio rassicurare Vittorio Feltri e il suo giornale: noi difendiamo tutti coloro che ritengono che la stampa debba poter controllare il potere. Oggi il potente di turno è Berlusconi, ma faremmo lo stesso contro chiunque».

In passato non lo avete fatto. Nessuna levata di scudi contro le querele di Prodi o D’Alema da presidenti del Consiglio.
«Ma loro non dicevano di non comprare pubblicità ai giornali da proprietari di banche! E poi abbiamo scioperato contro il ddl Mastella! Questo non lo scrivete mai, eh?».

Lo scriviamo, ma non è la stessa cosa.
«Vede, sono i presupposti di Feltri che sono sbagliati. Alla stampa libera si chiede di fornire elementi di giudizio sull’azione di governo. Quindi non regge la logica di Berlusconi, D’Alema o Fini. Così si confondono le acque».

Allora separiamo le acque. Berlusconi querela «Repubblica» denunciando una campagna, quella delle dieci domande, non sulla sua azione di governo, ma sotto le sue lenzuola. E la Fnsi grida al regime. Feltri critica Fini, lui querela e la Fnsi tace. Perché?
«Berlusconi doveva rispondere alle domande, come Clinton, non rispondere per interposta persona attraverso il direttore del suo giornale».

Feltri ha risposto per Berlusconi?
«Guardi le dimissioni di Dino Boffo da Avvenire».

Il «Giornale» ha pubblicato un decreto di condanna penale.
«Ma Feltri lo stesso giorno ha scritto: se Berlusconi ha un problema morale, allora guardate Boffo».

Ha scritto che se si guarda sotto le lenzuola di uno si guarda sotto quelle di tutti. E ora gli fanno il processo in Parlamento. Soro del Pd ha detto che Feltri «minaccia la libertà dei cittadini». E la Fnsi tace.
«Ma Feltri non ha bisogno del sindacato».

Ah no?
«Io stimo Feltri e la sua irriverenza, potrei dire che è una simpatica canaglia ma non lo dico perché poi lei lo scrive. Penso che farebbe meglio a chiamarlo il Giornale del premier, il suo giornale, ma tutto è legittimo e io rispetto l’informazione di appartenenza».

Però dice che Feltri non ha bisogno del sindacato.
«Il problema è che non ho visto notizie senza premeditazione».

Premeditazione?
«Se si comporta come un agente della politica, deve aspettarsi di finire nel tritacarne politico. Se col Giornale vuol fare un partito, lo dica. Ma poi dovrà confrontarsi con i Soro, i Di Pietro e i Verdini».

Invece quella di «Repubblica» non è una campagna politica per screditare il premier?
«Ma non si può fare un minestrone, non si possono mettere insieme le dieci domande con una campagna come quella che ha portato al licenziamento del direttore del giornale dei vescovi!».

No, infatti. La condanna di Boffo era una notizia. La caccia alle escort non le è parsa costruita ad arte, visto che il premier neppure è indagato?
«Le notizie non sempre sono notizie di reato. Se le interviste alle escort aiutano a capire gli intrecci con la politica è giusto pubblicarle».

Diceva quel comico: parlamm e nun ce capaimm.
«Mi ha fatto più domande lei di Repubblica e ho risposto».

Veramente la domanda è sempre la stessa e non ha ancora ricevuto risposta...
«Allora scriva che sono come Berlusconi e non rispondo alle domande».

Bene.
«Guardi. Le querele sono solo l’ultimo anello di una lunga catena di tentativi di impedire di disturbare il manovratore, dal ddl sulle intercettazioni all’uscita sui “farabutti”, dall’invito a non comprare pubblicità sui giornali al potere di Berlusconi di cambiare i palinsesti tv, come con Porta a Porta sul terremoto».

Persino «Repubblica» scrive che il premier era infuriato per quella prima serata...
«Senta, io non sono antiberlusconiano e non sono mai stato comunista. Anch’io preferirei si parlasse più di disoccupati che di escort. Ma c’è un problema di libertà, un clima di timore nei giornali, perché Berlusconi afferma il suo potere individuando i nemici e facendo sentire la sua pressione. E in piazza ci vado per tutti i giornalisti».

Non ci era parso.
«Tutti i giornalisti vanno difesi da uno che li chiama farabutti.

Quando capiterà a voi, vi sfido a chiedermi il conto».

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