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Giustizia lampo? Solo contro il centrodestra Ecco l'equità del Csm

Quando la legge non è uguale per tutti: ignorati i pasticci di Ingroia e Boccassini, alla gogna Brigandì e Papa

Giustizia lampo? Solo  
contro il centrodestra 
Ecco l'equità del Csm

I vertici del Csm hanno annunciato che presto saranno esaminati i comportamenti del magistrato-parlamentare Alfonso Papa. Uno dei rari procedimenti per la violazione di un «segreto» preso sempre dal Csm ha riguardato qualche mese fa un suo membro Matteo Brigandì, inquisito, processato ed espulso in pochi giorni. Intanto si legge sui giornali che Ilda Boccassini avrebbe irregolarmente ascoltato (e poi erroneamente incluso negli atti) telefonate del presidente del Consiglio. Si sono letti dei pasticci combinati da Antonio Ingroia nei rapporti con Massimo Ciancimino. Si leggono di intercettazioni a parlamentari compiute dalla procura di Napoli e si sono viste le foto di parlamentari ripresi davanti a Montecitorio sempre nel corso delle indagini dei pm partenopei. Siamo invasi da «segreti» che straripano da decine di procure.
Eppure mentre sui casi del primo tipo si marcia a tutta velocità, su quelli di secondo tipo - dopo magari qualche piccola mossa burocratica - nessun grande dibattito è stato aperto dal famoso organo di vigilanza. Nessuna anticipazione è stata data alle stampe su provvedimenti in arrivo. È forte la sensazione di vivere in un Paese in cui le scelte dell’organo di autogoverno della magistratura esprimono una tendenza squilibrata. In particolare per quel che riguarda la violazione del segreto d’ufficio, questo reato pare essere perseguibile solo quando viene commesso da soggetti ostili alle procure militanti.
D’altra parte un atteggiamento di questo tipo pare prevalere anche in altri organismi come l’Ordine dei giornalisti secondo il quale un direttore che fa scrivere gratuitamente un «radiato», va sospeso per due mesi. Mentre in un altro quotidiano si può interpolare l’editoriale di un collaboratore, che per questo si dimette, senza che voli una mosca.
L’Italia non è un regime, persino un direttore fazioso come Ezio Mauro, in un recente libro scritto con Gustavo Zagrebelski, deve spiegare al suo interlocutore fanatico come le libertà fondamentali non siano, almeno al momento, in discussione. La vecchia scuola comunista insegna - e su questo pazientemente deve educare l’estremismo azionista - che la propaganda per reggere deve basarsi sulla realtà. L’Italia non è un regime ma non manca di tendenze illiberali che crescono dentro il suo Stato e la sua storia. Noi poggiamo su un establishment chiuso, troppo spesso strumento di controllo oligarchico, incapace di fornire un’alta garanzia alla pubblica discussione. Abbiamo una tradizione che viene da lontano, dalla stessa matrice savoiarda, di «corpi» che divengono separati e s’impongono sullo Stato.
Le nostre èlite a lungo poco legate al popolo e tendenzialmente giacobine, dopo il ’68 si sono politicizzate integralmente diluendo drammaticamente la propria professionalità. L’Italia non è un regime e pure i pm militanti non potranno fare come i carabineros di Augusto Pinochet anche perché le loro stesse divisioni feudali lo impediscono. Ma la destabilizzazione dello Stato procede: dalla presidenza del Consiglio ai servizi di sicurezza, ai Ros, a Gianni De Gennaro, alla Finanza, alla Protezione civile. Funzioni fondamentali per la nostra vita collettiva sono poste sotto scacco senza che emergano soluzioni alla crisi. Imprese pubbliche, dall’Eni a Finmeccanica, tra le poche grandi realtà nazionali sono da mesi bombardate, magari da giornalisti fedeli a questo o quel banchiere (preferibilmente influente nella proprietà della testata per cui si scrive).

Per fortuna c’è l’Europa che risparmia esiti catastrofici, ma l’orizzonte di un declassamento della nostra libertà è di fronte a noi.

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