GRADIMENTO Se la Costituzione gli consentisse di correre potrebbe vincere ancora

Puoi non amare i democratici, puoi irritarti per i tic, le manie, le sciocchezze politicamente corrette dei liberal americani. Puoi, sì. Però davanti a Bill Clinton ti devi fermare. Perché è stato (ed è) un fuoriclasse. Perché è stato (ed è) un grande leader americano. Perché è stato (ed è) un punto di riferimento. Clinton non è stato solo il Sexgate, così come Richard Nixon non era stato solo il Watergate. La fortuna di Clinton - a differenza del suo predecessore - è stata che la stampa non s'è impegnata allo strenuo per massacrarlo come invece aveva fatto con Nixon. E questo ha permesso a lui di resistere e all'America di continuare ad avere un grande presidente. Uno che sbaglia, come ha sbagliato lui nel caso Lewinsky. Uno che ha delle debolezze personali. Uno che sa mentire. Però, comunque, uno tosto, bravo, preparato, solido, intelligente, illuminato, moderato.
Un decennio e passa dopo il suo addio alla Casa Bianca, la popolarità di Clinton è altissima: amato per ciò che ha saputo fare e dare, per come l'ha fatto e dato. Il Sexgate è passato, il clintonismo no. Oggi, nel Partito democratico - e non solo - è sinonimo di buon governo e di centrismo, ciò che molto spesso manca a diversi leader della sinistra americana. Ha fatto molto più in politica interna che in politica estera e forse anche questo è stato uno dei motivi per cui oggi è ricordato positivamente dal Paese, ex nemici compresi.
Clinton si lascia dietro un bilancio indiscutibile e senza paragoni. Sarà stato in piccola parte merito suo, ma mentre egli era al timone l'America è entrata nel nuovo millennio con un salto di qualità. Clinton aveva ricevuto una Superpotenza e ha lasciato una Iperpotenza, una quantità finora mai sperimentata nella storia, basata in primo luogo su un'ipereconomia che il mondo non aveva mai visto. Tra le presidenze di Reagan e quelle di Bill l'economia americana è cresciuta quasi senza sosta e a ritmi da capogiro: 37 milioni di posti di lavoro creati. Lui, Clinton, è stato l'uomo della grande marcia tecnologica che ha surclassato definitivamente la paura del sorpasso giapponese. La Cina non era ancora una concorrente, così la sua America è stata felice e vincente per molto tempo, così felice che se gli avessero permesso di ricandidarsi alla fine del secondo mandato, Clinton sarebbe stato rieletto a mani basse. A dirla tutta, anche se gli fosse consentito di ricandidarsi oggi, vincerebbe. Piace ancora, Bill. E la dimostrazione sta nel fatto che il suo intervento alla convention democratica di qualche mese fa ha rimesso in marcia la campagna elettorale di Barack Obama che sembrava essersi completamente afflosciata. Con l'intervento di Clinton in suo soccorso, Obama ha incassato contemporaneamente l'appoggio e uno schiaffo morale. Perché l'ex presidente ha dimostrato all'attuale presidente di essere ancora un numero uno. In più l'ha costretto a cedere una quota di idealismo per buttarsi con più convinzione sul pragmatismo.
Il primo mandato era stato tutt'altro che entusiasmante, tant'è vero che i repubblicani avevano preso il controllo del Congresso: ecco, il secondo Clinton riuscì a governare alla grande nonostante avesse contro sia la Camera dei rappresentanti sia il Senato. Una dimostrazione di potenza personale impressionante che oggi viene riconosciuta anche da molti dei suoi critici di allora. Basta il commento di Michael Novak, per esempio. Lui, campione del conservatorismo, quando parla di Bill si toglie il cappello: «I due migliori presidenti del Novecento americano sono stati Ronald Reagan e Bill Clinton. Qualunque cosa si pensi delle loro posizioni, sono stati due talenti naturali senza rivali. Capaci di un'empatia impareggiabile con gli elettori. Abilissimi a capire la gente, interpretare i suoi sentimenti, e dire la cosa giusta al momento giusto».
Ecco, Clinton è stato un mostro di bravura in questo. Un presidente capace di immedesimarsi in ogni americano. Il contrario di quanto abbiano fatto molti dei democratici eletti alla Casa Bianca, compreso Barack Obama. Perché loro rappresentavano sempre quell'élite metropolitana nella quale erano cresciuti e si erano formati, lui invece no. Lui è rimasto il ragazzo di Little Rock, in Arkansas. Il medio borghese del Midwest che ce l'ha fatta. La sua storia ha funzionato perché era vera: nato in una famiglia normale, orfano di padre, con la madre che s'era messa con un ubriacone manesco. Uno con queste premesse non sarebbe mai diventato un pezzo grosso se non fosse stato un genio. E Clinton lo era (lo è). S'è spaccato la schiena studiando più degli altri, s'è preso le borse di studio che gli hanno consentito di frequentare le migliori università d'America e del mondo: Georgetown, Yale, Oxford.
Un talento naturale, Bill. Capace di stregare chiunque, l'elettore medio così come i figli della high society e i loro genitori: Hillary era l'erede di una ottima famiglia di Chicago. S'immamorò di Bill all'università e insieme decisero di fare quel percorso che li ha portati fino alla Casa Bianca. Sono passati attraverso l'Arkansas, dove Bill fu governatore e dove cominciò la scalata al potere. Lui e lei, insieme nonostante le molte crisi. Con quella storiella che circola da sempre su di loro. Un giorno marito e moglie si fermano a una stazione di servizio e vengono serviti da un loro ex compagno di università al quale le cose non sono andate benissimo. All'epoca, Hillary lo aveva notato, ci era anche uscita insieme qualche volta. Vedendo l'interesse della moglie per quell'ex giovane, Bill comincia a ingelosirsi.
«Ti piace?», chiede Bill.
«Sì, molto», risponde Hillary.
«Bè, pensa che se ti fossi messa con lui, oggi saresti la moglie di un benzinaio e non la moglie dell'ex presidente degli Stati Uniti d'America».
E lei: «No, caro. Se mi fossi messa con lui, lui sarebbe stato eletto presidente degli Stati Uniti».
Battute a parte, la coppia ha funzionato e funziona. Probabilmente tornerà alla ribalta ancora, nonostante lei, Hillary, non dovrebbe avere più ruoli nell'amministrazione Obama se l'attuale presidente dovesse vincere la sfida con Romney. Dicono che l'ex First Lady e ormai (comunque) ex Segretario di Stato voglia riprovare la corsa alla Casa Bianca nel 2016. Si fosse candidata questa volta, contro Romney e contro Obama avrebbe vinto. Esattamente come se l'avesse fatto il marito (al quale però la Costituzione lo vieta). L'incognita tra quattro anni sarà l'età: avrà 69 anni, troppi secondo molti, per ambire alla Casa Bianca. Ma mai fare i conti troppo facilmente quando di mezzo ci sono i Clinton. Bill è troppo amato in quest'America disillusa: la sua era è l'ultima felice nei ricordi di un Paese che è passato per la tragedia immane dell'11 settembre e per la grave crisi economica degli ultimi anni. Clinton è un sorriso.

E gli scandali non contano più.

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