Cultura e Spettacoli

Gramsci suicida? Troppi misteri sulla sua morte

È l’ipotesi degli storici Melograni, Bertelli e Nieddu

Lo storico, nel suo lavoro, può nutrire dei sospetti e dichiararli. Piero Melograni, insistendo lungo il filone aperto con Le bugie della storia e riprendendo un vecchio dubbio, ne ha lanciato uno, nel corso di un incontro ieri a Roma alla Libreria Montecitorio: quello sulla morte di Antonio Gramsci. Non ha trovato prove, né ha portato alla luce nuovi documenti - del resto gli archivi di Mosca sono stati ormai richiusi - ma, con il sostegno di altri due studiosi del calibro di Sergio Bertelli e Luigi Nieddu, ha avviato un’istruttoria, rileggendo circostanze politiche assodate e partendo dal «minimalismo» di alcuni dati di cronaca.
I dati di cronaca sono nell’ordine un certificato di morte che non è firmato da alcun medico e che non spiega le cause del decesso, la cremazione del corpo per la quale non è stata trovata la richiesta esplicita di Gramsci, indispensabile per le leggi allora in vigore, le fotografie scattate alla clinica Quisisana il 27 aprile del ’37 che potrebbero essere state ritoccate. Senza dimenticare che Tatiana Schucht, la cognata che visse accanto a lui i suoi ultimi anni e che fu l’unica testimone del decesso, era legata al Nkvd (il ministero sovietico che aveva assorbito le competenze della polizia politica). Come se si fosse voluto nascondere qualcosa. Cosa? Un avvelenamento, ad esempio. Ma anche altro, come un suicidio.
Il sospetto è comunque rafforzato dalle circostanze più generali. La ricerca storica ha accertato l’«eresia» di Gramsci, la sua rottura con il Pci, la fallita trattativa Roma-Mosca per liberarlo dal carcere con uno scambio di prigionieri, con il dubbio che fosse stato proprio Togliatti a farla fallire per impedire che un personaggio scomodo e battagliero si trasferisse all’hotel Lux, per poi finire travolto dalle «grandi purghe» coinvolgendo l’intera élite comunista emigrata. E lo stesso Togliatti ebbe modo, nel dopoguerra, di parlare di questa sua paura.
Insomma, non tanto la rivelazione quanto il sospetto di Melograni, sostenuto da Bertelli e Nieddu, è che l’Nkvd possa aver raggiunto Gramsci solo pochi giorni dopo la sentenza sulla cessazione definitiva della sua pena. Si tratta di un dubbio che va preso in considerazione. Non appartiene alla voce «uso politico della storia» bensì a quell’opera di revisione che è l’anima della ricerca e allarga le idee sul passato.

In questo caso specifico, ricordare che il comunista Gramsci è stato anche un nemico del comunista Stalin, è un modo per stimolare la lettura della complessità della storia e delle sue doppiezze.

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