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Gridano al bavaglio ma l’hanno già votato

Pd, Idv e Terzo Polo si stracciano le vesti, scendono in piazza a protestare contro la legge bavaglio, ma il 17 aprile 2007 dissero sì al testo di riforma di Mastella che era molto simile a quello attuale

Gridano al bavaglio 
ma l’hanno già votato

Gridano al bavaglio. Solidarizzano con Wikipedia. Scendono in piazza con la pecetta nera sulle labbra. Tutto normale, l’opposizione fa il suo mestiere. Lotta dura al ddl intercettazioni. Ma c’è un ma. Che l’opposizione, quand’era maggioranza, votò compatta e allineata il ddl Mastella sulle intercettazioni, il testo che il 17 aprile 2007 fu approvato alla Camera con 447 sì e 7 astenuti. Il Senato non lo convertì in legge solo per la fine anticipata della legislatura. E il ddl attuale Costa-Contento è molto simile al testo Mastella: divieto di pubblicazione delle intercettazioni (stralci, citazioni e riassunti compresi) fino all’udienza-filtro oggi, fino al processo ieri. Pene e sanzioni per i giornalisti coinvolti. Riduzione dei centri di ascolto. I dettagli cambiano, la sostanza resta quella. L’opposizione ha la memoria corta.

La stessa Giulia Bongiorno, ieri eroina del Terzo polo quando si è dimessa da relatrice del ddl al grido di «no alla censura», solo quattro anni fa votava convinta il testo Mastella. E con lei pure i falchi finiani Carmelo Briguglio, Benedetto Della Vedova e Flavia Perina. Imitata dai colleghi Udc. Quelli che, per dirla con Pier Ferdinando Casini: «Se si fa una legge seria per evitare gli abusi nella pubblicazione di intercettazioni ci siamo, siamo disponibili. Se si vuole censurare la stampa e vendicarsi contro i pm noi non saremo complici». Ora strappa, nel 2007 disse il suo sì insieme a Michele Vietti, oggi vice presidente del Csm (che però ha definito «ragionevole» il testo Pdl), al segretario Lorenzo Cesa, Luca Volonté e Bruno Tabacci.

Stavano con Mastella anche Ds e Margherita (che avevano iniziato il processo di fusione nel Pd) e, a sorpresa, anche l’Idv. I big del centrosinistra non risultano nella votazione: erano tutti in missione. Ma il resto dei gruppi alla Camera votò. C’è da capirli, erano tempi difficili con lo scandalo Unipol-Bnl e le telefonate bollenti in circolo. Con Massimo D’Alema che spiegava (su Repubblica): «Parlate di 3-5mila euro di multa... ma li dobbiamo chiudere quei giornali». Capofila degli entusiasti Dario Franceschini, attuale capogruppo Pd.

Lo stesso che martedì tuonava: «Faremo di tutto per opporci a questa porcheria» firmando la pregiudiziale di costituzionalità al testo Costa-Contento. Preceduto da Lanfranco Tenaglia, ex responsabile Giustizia e nel 2007 relatore della legge. Con loro, tra gli altri, Roberto Giachetti che ieri ha sbottato: «C’è parecchio imbarazzo per l’ennesima legge ad personam pro-Berlusconi».
Di Pietro nel 2007 non c’era, ma i suoi sì. E tutti votarono a favore. Massimo Donadi, oggi come ieri capogruppo alla Camera, esultò dopo lo scrutinio: «L’unanimità è un segno della forza del Parlamento». Oggi invece la pensa diversamente: «Il bavaglio è uno schiaffo alla democrazia e alla libertà di stampa, ed è anche un’offesa ai cittadini».

Forse anche stracciarsi le vesti con quattro anni di ritardo.

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