Ma qui i monumenti sono salvi. Anche se ieri ad Atene le automobili parcheggiate erano ricoperte di un sottile strato di cenere, portata dal vento in un cielo dallo strano colore giallo. E se i pompieri circondavano per precauzione il tempio di Artemide dietro allo stadio Panatenaico dove si sono concluse le Olimpiadi, con la corsa della Maratona, nel 2004. No, i pezzi di storia che tutti noi abbiamo studiato a scuola stanno scomparendo dalla cartina geografica più a sud, nel Peloponneso, culla della più antica civiltà greca. Qui sorgeva Sparta, a ridosso della quale oggi brucia il monte Taigeto, quello sul quale i guerrieri spartiati salivano per gettare nel vuoto i neonati deformi. Qui c'è il santuario di Olimpia, dove le fiamme sono state spente a stento ieri sera mentre già lambivano lo stadio, nonostante il ministro della Cultura George Vulgarakis, in diretta tivù dalla patria delle antiche Olimpiadi, dichiarasse che «il sito archeologico non è in pericolo» (mentre le telecamere mandavano fumose immagini che lo smentivano).
Ma ormai divorate dal fuoco sono ben sette acropoli in Messenia, la regione sottomessa da Sparta nella notte dei tempi. Sette acropoli, ossia le alture dove sorgevano i templi che proteggevano ogni città, appena restaurate nel 2004: la dea Atena non è riuscita a salvare il suo tempio dorico a Prasidaki, e la stessa fine hanno fatto i colli su cui sorgevano i monumenti sacri nelle località Alithiro, Platiana, Kato Samiko, Lepreo, Kakovatos, Vrestù. Il dio Apollo Epikourios, il grande Guaritore, invece, ha intimato al fuoco di non distruggere il suo bellissimo tempio del quinto secolo avanti Cristo a Figalia-Vasses, nascosto fra i monti dell’Arcadia sempre nel Peloponneso. Un miracolo, visto che i paesi intorno sono avvolti in un unico fronte di alberi trasformati in torce. Gli dei ellenici sono tornati a lottare accanto agli uomini, come ai tempi della guerra di Troia. C'è chi vince e c'è chi perde.
Gli archeologi non si fidano delle rassicurazioni del governo e accorrono, a proprio rischio e pericolo, sui «loro» scavi: come nella zona del monte Lykion, vicino a Sparta, dove è stato da poco scoperto il santuario protostorico «antenato» di Olimpia, con l'altare dei sacrifici mandati da diversi luoghi dell'Ellade. L'antichista che l'ha riportato alla luce, che non vuole essere citata, partirà da Atene domani mattina (oggi per chi legge) in macchina sfidando le strade incenerite del Peloponneso. Ma non c’è solo l'Ellade di Omero o di Tucidide, lo storico che ci ha lasciato il suo immortale resoconto della guerra del Peloponneso fra Atene e Sparta. Ci sono anche monumenti di età cristiana bizantina in pericolo: miracolosamente le cittadelle dell'undicesimo secolo di Gheraki e di Kosmas, sulla punta centrale del Peloponneso, sono intatte anche se gli abitanti della zona sono stati evacuati. Sono bruciate invece un po' in tutta la Grecia chiesette più recenti, costruite dai pastori o dai contadini per pregare quando il bosco o la montagna fanno paura. Quella di santa Teodora in Arcadia, meta di pellegrinaggio, non c’è più. Mentre scriviamo un intero paese ha cercato riparo nella moderna chiesa di Figalia nell'Elide. A vegliare sugli abitanti, sui pompieri esausti e sui volontari, restano solo gli dèi.