Guerra in Israele

Fake news, social e propaganda: come funziona la guerra digitale di Hamas

Tra razzi e fake news: origine, canali, metodo e impatto dell’altra guerra (social) di Hamas contro Israele

Fake news, social e propaganda: come funziona la guerra digitale di Hamas

Israele, 7 ottobre, ore 6.35: il suono delle sirene segnala il lancio dei primi razzi di Hamas. La guerra è iniziata. 48 ore dopo gli account Facebook, Instagram, X e TikTok che hanno pubblicato post sull'attacco - rileva Cyabra, società di cyber intelligence che stana la notizie false online - arrivano quasi a mezzo milione. Un quarto sono fake. Video decontestualizzati e immagini riciclate si sovrappongono a contenuti distorti o inventati che, condivisi tra utenti e rilanciati sulle varie piattaforme, alimentano la macchina della propaganda mezzo social. Non solo razzi. La minaccia di Hamas contro Israele si moltiplica a colpi di cyber attacchi e fake news sempre più virali.

Sono X e Telegram i canali privilegiati della campagna di disinformazione che fa il gioco dei miliziani di Gaza. "Questo perché entrambi i social network - ci dice Masha Averbuch, ricercatrice di FakeReporter, organizzazione indipendente che insieme all’Israel Internet Association ha creato il Fakes command center, una stanza di guerra contro le notizie false attiva 24 ore su 24 - offrono un’interazione diretta con contenuti non verificati e si basano su informazioni non filtrate, rendendo facile estrapolare i fatti dal contesto e manipolare le emozioni degli utenti".

Su X e Telegram, a causa di una moderazione dei contenuti spesso inadeguata, sono gli utenti stessi a dover distinguere le notizie vere nel mare magnum digitale, dove le fake news corrono e la verità è sempre un passo indietro. E dove fingersi una fonte ufficiale o un’autorità affidabile è facile per chiunque. È il caso dell’account, spuntato solo poche settimane prima del 7 ottobre con tweet a tema sportivo, che all'improvviso si è spacciato per essere un giornalista di Al Jazeera basato a Gaza. Smascherato dal team di FakeReporter (non esiste un giornalista di Al Jazeera corrispondente al nome del profilo), è stato bloccato.

Le false narrazioni più condivise sui social media, monitorate dal giornalista della Bbc e debunker Shayan Sardarizadeh, vanno da filmati di videogiochi dati per veri attacchi di Hamas a immagini di festeggiamenti con fuochi d'artificio in Algeria presentati come raid israeliani su Gaza, alla foto - falsa - di Cristiano Ronaldo con in mano la bandiera palestinese. Abbondano anche video di altri conflitti, come la guerra in Siria e in Ucraina, riciclati insieme a immagini di bombardamenti israeliani di anni precedenti e fatti passare per materiale appena girato.

Tra i contenuti fake con cui la propaganda pro Hamas martella i social spiccano i “classici” della guerra spostata in rete: tweet secondo cui il numero di vittime israeliane sarebbe inferiore a quello riportato da Tel Aviv o post che sostengono che Hamas non avrebbe deliberatamente preso di mira i civili, colpiti e uccisi, invece, dalle bombe sganciate dalle forze israeliane. “Affermazioni false che, - continua Averbuch - partite dai portavoce di Hamas e diffuse da influencer, celebrità e attivisti politici che le promuovono attivamente, raggiungono milioni di persone in tutto il mondo”.

Ne è un esempio il tweet fuorviante da 1,5 milioni di visualizzazioni, e ora condiviso da un gruppo Telegram pro Hamas, che rilancia l’intervista a una donna israeliana rapita dai miliziani, in cui dice che gli altri ostaggi sarebbero stati colpiti da proiettili esplosi nel fuoco incrociato. O ancora, il video su X che dimostrerebbe che Hamas non avrebbe preso di mira i civili, vittime collaterali degli scontri tra i militari delle Israel defense forces e i jihadisti di Gaza. Le immagini, scandagliate dai fact-checker del Fakes command center, in realtà, mostrano degli agenti di polizia israeliani intenti ad evacuare i partecipanti del rave party nel deserto del Negev assaltato da Hamas.

Quasi due milioni di follower su X, l’account di Jackson Hinkle, è il megafono “più virale” della narrazione allineata ai fondamentalisti palestinesi al di fuori del mondo arabo. Il ventiduenne YouTuber e commentatore politico di Los Angeles era già attivo nella diffusione di fake news pro Cremlino allo scoppio della guerra in Ucraina. Dal 7 ottobre, il “comunista trumpiano” si è rilanciato sciorinando i capisaldi della disinformazione filo Hamas. Dal numero falsato dei morti israeliani all’assenza di prove delle atrocità dei miliziani di Gaza, ai falsi report attribuiti al quotidiano Haaretz, fino alla foto di un bambino israeliano bruciato vivo liquidata come un fake creato dall’intelligenza artificiale. A cui è seguita l’immediata ripresa, da parte di diversi siti di informazione, della notizia (falsa) come pregevole operazione di debunking. Poi, per chi volesse unirsi alla lotta “per smascherare i propagandisti” affiliati al “Deep state”, basta abbonarsi ai contenuti premium. Offerti su X alla modica cifra di 3 dollari mensili.

Al netto di singole voci promozionali (o auto promozionali), chi muove davvero i fili della macchina della propaganda pro Hamas? Al di là del link diretto tra i profili social dei portavoce ufficiali dei miliziani e tutta una rete capillare di influencer e attivisti compiacenti che assicurano milioni di interazioni, nel progetto di disinformazione "organica" sarebbero coinvolte anche diverse entità straniere. “Stiamo monitorando alcuni network di account - ci anticipa la ricercatrice di FakeReporter - che sospettiamo provengano dall'Iran, di cui per ora non possiamo specificare il numero esatto”. Sarebbero attivi in operazioni definibili come Cib, coordinated inauthentic behaviour: sforzi coordinati tra utenti (spesso con falsi profili) per manipolare il dibattito, dove le fake news diventano le armi di un’altra guerra.

Che si combatte in rete.

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