Crisi del Mar Rosso

Crisi nel Mar rosso e raid anti Houthi: ecco i veri i limiti del piano Usa

Le operazione per garantire la sicurezza nel Mar Rosso non stanno funzionando. La coalizione internazionale non riesce a fermare gli houthi nonostante raid aerei americani e inglesi. I mercantili rimangono un bersaglio

Crisi nel Mar rosso e raid anti Houthi: ecco i veri i limiti del piano Usa

I piani del Pentagono non hanno ottenuto il successo sperato nel Mar Rosso. Dove i ribelli houthi continuano ad attaccare indiscriminatamente navi mercantili e militari per colpire indirettamente lo stato di Israele impegnato nelle operazioni militari a Gaza.

Né la deterrenza rappresentata dallo schieramento di vera e propria flotta da guerra, né i raid mirati condotti dai cacciabombardieri americani e inglesi stanno risultando sufficienti per fermare le aggressioni terroristiche degli yemeniti. Le armi più sofisticate, portate in Medio Oriente da portaerei e fregate lanciamissili inviate per limitare la proliferazione di un conflitto "allargato" e tentare di ristabilire il normale traffico sulle rotte commerciali attraverso il Golfo di Aden, lo stretto di Bab el-Mandeb e il Mar Rosso che conduce all’alveo artificiale di Suez, rappresentano un efficace dispositivo di difesa ma non sono una soluzione.

Secondo un ufficiale imbarcato sulle principale unità da battaglia schierata dalla Marina statunitense, questa missione potrebbe proseguire per anni. Fino a quando gli houthi non finiranno le "munizioni".

Missioni offensive senza risultati

Dal ponte della portaerei americana Uss Dwight D. Eisenhower i caccia imbarcati F/a-18 Hornet vengono catapultati notte e giorno per pattugliare tratti di mare e sganciare il loro costoso carico di bombe guidate su depositi di armi in territori controllati dai ribelli yemeniti. Lo stesso vale per i caccia britannici Typhoon, che decollano dalla base d'oltremare di Akrotiri a Cipro portando i loro missili da crociera.

Nel frattempo i sistemi di difesa attiva delle navi da guerra francesi, italiane e tedesche sono pronti a contrastare fino all'ultimo drone d'attacco lanciato dagli houthi sulle navi in transito, ma nulla sta cambiando. E questo nonostante la spesa di milioni di dollari di munizioni. Attualmente la capacità di lancio da parte dei houthi sembra essere diminuita, spiegano gli americani, ma la stessa intelligence statunitense ha ammesso di non conoscere la reale entità degli arsenali dei ribelli yemeniti che viene definita un "buco nero".

Operazioni di maggiore intensità in Yemen sono per il momento esclude. Secondo i funzionari occidentali il prossimo livello di escalation potrebbe essere rappresentato da "attacchi mirati" contro i leader Houthi. Ma anche questa opzione non garantisce la cessazione delle ostilità e il ripristino della sicurezza o della normale navigazione nella regione.

Dwight D. Eisenhower
Caccia sul ponte della U.S.S. Dwight D. Eisenhower

Un falso lasciapassare per Cina e Russia

Mentre il numero di navi che navigano nel Mar Rosso meridionale è diminuito del 70%, sfiorando picchi del 90% nei momenti di massima crisi, bloccando le navi cisterna che trasportano petrolio e gas o deviandole verso la costosa e lunga circumnavigazione del continente Africano, gli houthi sostenuti dall’Iran continuano a lanciare droni kamikaze, razzi e missili a corto raggio sulle navi "occidentali" per scoraggiare chiunque supporti lo Stato ebraico.

"Siamo a un punto in cui l'Iran ha influenza, se non controllo strategico, su tre dei sei principali punti di strozzatura economica del mondo", ha affermato a Bloomberg l'ex comandante della Quinta Flotta statunitense riferendosi al Canale di Suez a nord del Mar Rosso, allo stretto di Bab el-Mandeb a sud e allo stretto di Hormuz.

Gli houthi avrebbero fatto sapere a Cina e Russia che le "loro navi possono navigare attraverso il Mar Rosso senza timore di attacchi". Ma questa assicurazione non si è dimostrata affidabile dal momento che proprio lo scorso sabato un missile ha colpito una petroliera cinese in transito. L'attacco potrebbe essere stato frutto di un "errore" di identificazione - considerato che nelle acque incrocia anche una nave spia iraniana - ma ciò riflette il fatto che nessuna nave può considerarsi totalmente al sicuro nel Mar Rosso.

Un'operazione "costosa"

Un ufficiale militare statunitense rimasto sotto l'anonimato ha dichiarato a Bloomberg che: "Gli Stati Uniti si trovano dalla parte sbagliata della curva dei costi nella loro campagna". Gli Stati Uniti posso "sostenere i costi", certamente, "ma sta diventando molto costoso", ha ribadito. La nostra Marina Militare ha dimostrato come si possano abbattere droni con pochi colpi di cannone Oto Melara 76/62 Super Rapido: un esempio di come si possono contrastare minacce aeree con munizioni intelligenti ma "economiche".

Gli alleati, che in precedenza hanno impiegato sistemi d'arma più sofisticati, hanno iniziato a utilizzare ove possibile armi meno costose per sopprimere droni e razzi lanciati dalle coste dello Yemen. Gli americani, ad esempio, preferiscono usare i loro caccia F/A-18 armati di missili air-to-air per eliminare i droni. Altre navi possono usare gli elicotteri imbarcati, come la fregata multi missione francese Languedoc che ha fatto decollare il suo elicottero Nh-90 imbarcato per abbattere un drone, potrebbe aver "speso" un missile Marte. L'invio di aeromobili può essere in alcuni casi essenziale per a tenere i droni a distanza dagli obiettivi e conservare sistemi d'arma più costosi per altre occasioni. Ma dopo tre mesi di crisi tenere "lontani" i droni, evidentemente, non basta.

Blocchi e operazioni aeronavali complesse

Nel passato gli Stati Uniti si sono già trovati a dover operare dai loro asset aeronavali per gestire crisi internazionali con la consapevolezza di non poter scendere con i "boots on the ground". Nell'87 l'Us Navy inviò un dispositivo nel Golfo Persico in assistenza al Kuwait, per proteggere le rotte commerciali minacciate dagli attacchi iraniani. In quell'occasione gli Stati Uniti appoggiarono il futuro nemico Saddam Hussein in quella che passerà alla storia come la "guerra delle petroliere”.

La tensione salì livelli massimi, soprattutto in seguito all'abbattimento - provocato da un tragico errore - di un volo di linea della compagnia iraniana Iran Air da parte dell'incrociatore statunitense, l'Uss Halsey, che lo scambiò per un F-14 dell'Aviazione iraniana. Due cacciatorpediniere e una fregata, la Uss Stark, finirono nel mirino delle dei missili iraniani in quella che poté definirsi uno dei maggiori scontri aeronavali del dopoguerra.

La presenza statunitense come "scorta" ai convogli, inizialmente non fermò gli attacchi dei pasdaran ai danni del al traffico marittimo civile, registrando numeri morti e azioni di rappresaglia che richiesero anche l'intervento dei Navy Seal. Schierati, come ci si poteva attendere fin dal primo momento, anche nell'attuali crisi del Mar Rosso. L'Iran, memore del successo delle sue interferenze nel Golfo e soprattutto nella strozzatura dello stretto di Hormuz, ha minacciato di colpire, dirottare e catturare navi a più riprese nel 2019.

Il caso della Libia

Meno recente ma egualmente esemplare nella sua complessità - e non meno nelle sue conseguenza ancora ampiamente discusse da analisti e storici contemporanei - l'intervento militare operato della Coalizione internazionale nel 2011 in Libia. Quando le forze lealiste di Muammar Gheddafi violazione la no-fly zone e il cessate il fuoco imposto dalla risoluzione Onu del 1973. Interessi particolari a parte, in quell'occasione una coalizione composta da navi e aerei di Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Italia, Danimarca, Norvegia, Belgio, Canada, Qatar e Spagna, intervennero affinché venisse rispettata il "divieto di sorvolo" della Libia nel contesto della guerra civile che condusse al rovesciamento del governo e alla morte del seguito alla morte del Rais.

L'intervento allora venne inaugurato dalla Francia, che lanciò un attacco con i suoi Mirage nel settore di Bengasi. Gli Stati Uniti impiegarono missili da crociera Tomahawk su obiettivi strategici in tutta la Libia, lanciati dalle navi dislocate nel Mediterraneo, mentre gli inglesi affidarono il compito ai loro cacciabombardieri Tornado e Typhoon. La Coalizione internazionale venne impiegata anche per il blocco navale delle acque libiche.

L'ingerenza sulla crisi interna - senza alcuna prospettiva reale per il futuro della Libia e i suoi complessi equilibri - diede inizio ad un'ulteriore fase di destabilizzazione che perdura ancora oggi con la comparsa di nuovi attori internazionali come la Russia.

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