Guerra in Israele

Gli sms tra due bambini: "La nonna bruciata viva"

Il volontario che recupera i corpi: "Atrocità indicibili". Messaggio del disperso dal bunker: "È l'Olocausto"

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«Mia nonna è stata bruciata viva, i miei amici pure». Eyal ha 12 anni, suo fratello Hili 8. Sono stati venti ore chiusi in un rifugio del kibbutz di Kfar Aza, dove Hamas ha trucidato i loro compagni di gioco, almeno 40 bambini, alcuni decapitati. «È inutile che i terroristi ci dicano che non è successo. Prendono in giro il mondo. Viviamo qui. Conosciamo tutti i morti e i rapiti. Erano gli amici dei miei figli - racconta al Giornale il padre, Maor Moravia - I ragazzi non smettono di piangere».

Sono le voci dall'orrore quelle che arrivano da Israele. I racconti di una mattanza che i testimoni hanno voluto condividere con noi, mentre vivono strazio e dolore, la perdita di amici e familiari, l'attesa angosciata per la sorte dei parenti dispersi. C'è il volontario che recupera i cadaveri, ha visto con i suoi occhi i corpi mutilati, i bambini bruciati e decapitati e non vuole aggiungere dettagli: «Tutto le atrocità che conoscete dell'Isis, le persone colpite alle spalle, bruciate vive nei loro letti, mentre dormivano, le ragazze stuprate, i neonati che hanno subìto mostruosità ancora peggiori, li vedo ancora, ogni giorno dal 7 ottobre, e sarà un lungo e duro lavoro per identificarli. I corpi sono irriconoscibili», spiega esausto Yossi Landau, dell'Unità di Soccorso internazionale Zaka, ancora impegnato nel recupero dei corpi, almeno 1300 israeliani trucidati: «Ma è chiaro che sono numeri destinati a salire».

C'è il sopravvissuto che ha visto l'amico morire dopo aver tentato in tutti i modi di fermare il sangue che scorreva dalla sua testa e dalle sue gambe, al rave party di Reim, almeno 260 morti. Elay Karavani, 23 anni, era lì quando l'inferno è cominciato, i razzi e i colpi di kalashnikov lo hanno sfiorato mentre era in fuga dal terrore. Ci mostra le immagini, racconta di una coppia uscita dal rifugio: «Lei sanguinava, priva di sensi, lui chiedeva aiuto spiegando che i terroristi erano entrati nel bunker dove erano nascosti, avevano lanciato granate e ucciso due dei loro amici. Non so se la ragazza si sia salvata». Per nove ore Elay è rimasto nascosto sotto gli alberi: «Con noi c'erano anche tre soldati israeliani, chiedevano soccorsi al telefono, mentre i mitra di Hamas sparavano senza fine. Dopo ore e ore abbiamo sentito dei militari pronunciare i nostri nomi. Ci hanno portato via, ma il mio amico non ce l'ha fatta. Ho guidato per 40 minuti fino a un posto sicuro. Ho visto decine e decine di cadaveri lungo la strada».

C'è Yafi Shpirer, zia di un ragazzo di 35 anni, Tomer, che aveva parcheggiato l'auto vicino al kibbutz di Mefalsim, 20 chilometri da Gaza. «Voleva allenarsi con la sua bici. Ma ha chiamato la moglie al telefono più volte, per raccontare che era esploso l'inferno. Poi non ha più risposto. All'ennesima telefonata hanno risposto i terroristi. Parlavano arabo, non ha capito cosa dicevano. Speravamo che Tomer fosse fra i rapiti. Due giorni dopo siamo andati dove aveva parcheggiato l'auto. Mio cognato ha mostrato la foto a un operatore di una Ong. Gli ha detto che aveva raccolto lui il suo corpo e lo aveva messo in un sacco - spiega Yafi - È orribile dirlo, ma dopo le atrocità che ho visto subire ai rapiti, è quasi meno orrendo sapere che non è fra i sequestrati».

Chi spera ancora è invece Dalia Fishman, la cui sorella gemella Jazmin, 51 anni, è dispersa con il marito e le due figlie di 22 e 15 anni. Erano tutti nel kibbutz di Beeri quando è scoppiato l'inferno. «Ci siamo messaggiate per 4 ore, io vivo a Tel Aviv. Mio cognato mi diceva: mi sento come nell'Olocausto. Volevano sapere cosa diceva la tv. Poi più nulla. Sono distrutta da giorni. Quelli di Hamas non sono uomini ma animali. Mia sorella e le figlie hanno passaporto argentino, mio cognato portoghese. Spero solo che siano fra i sequestrati. Ma loro sono bestie, non trattano i prigionieri come facciamo noi in Israele. Non so più cosa pensare. Dico solo che questi sono crimini di guerra.

È il nostro secondo Olocausto».

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