Guerra

Nagorno Karabakh, uccisi peacekeeper russi: sale la tensione

Mentre la Difesa russa conferma l'assenza di ostilità e l'evacuazione dei civili, alcuni militari di Mosca sono stati uccisi in un agguato. Intanto il Cremlino ribadisce che quanto avviene in Nagorno Karabakh è un problema "interno all'Azerbagian"

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L'escalation in Nagorno Karabakh, innescata dalle operazioni "antiterrorismo" dell'Azerbaigian contro l'enclave armena, registra tra le sue vittime anche dei peacekeeper russi. Il ministero della Difesa russo ha comunicato che "mentre tornava da un checkpoint nella zona del villaggio di Dzhanyatag, un'auto con personale militare russo è finita sotto il fuoco di armi leggere e tutti i militari a bordo sono stati uccisi". L'agguato è avvenuto nella giornata di oggi e ora sul posto indaga personale misto azero e russo.

I militari di Mosca, presenti come forza di interposizione tra le due parti in conflitto, sono impegnati da ieri nelle operazioni di evacuazione dei civili armeni dopo l'inizio dell'offensiva azera. "Non è stato registrato alcun caso di violazione del cessate il fuoco", ha affermato la Difesa russa, che ha anche confermato di avere evacuato in aeree sicure 3.154 persone. Presenti nell'area da diverso tempo, i peacekeeper russi si trovano ora a gestire una situazione complicata non solo dal punto di vista tattico ma anche politico. La Federazione russa, da sempre protettrice dell'Armenia, ha sostanzialmente avallato l'operazione di Baku in Nagorno Karabakh, come del resto non aveva messo particolare enfasi nell'evitare il conflitto che nel 2020 era già terminato con una netta dimostrazione di forza dell'Azerbaigian.

L'Armenia aveva accusato l'alleato russo di non avere fatto il possibile per fermare le ambizioni azere, e allo stesso tempo in questi mesi ha cercato di divincolarsi dalla pesante eredità imperiale e post-sovietica sondando il terreno con l'Occidente. Pur facendo parte della Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, la Csto, guidata da Mosca, Erevan ha di recente avviato delle esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti. Manovre di poche centinaia di unità ma che hanno provocato l'ira di Mosca, la quale ha accusato il governo di Nikol Pashinyan di avere aperto le porte alle mire della Nato nel Caucaso meridionale.

Il premier armeno oggi ha sottolineato che quanto accaduto in Nagorno Karabah non ha coinvolto le autorità né le forze armate dell'Armenia e ha affermato che "se le forze di pace russe hanno avanzato la proposta di porre fine alle ostilità e di sciogliere l'esercito del Karabakh, significa che si sono completamente assunte l'obbligo di garantire la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh senza riserve". Il messaggio quindi è duplice. Da una parte è diretto all'opinione pubblica e a Baku, sottolineando che di fatto Erevan è fuori dai giochi. L'altro è rivolto direttamente al governo russo che però, attraverso il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, ha tenuto a precisare che quanto accaduto nella regione contesa è un fatto "interno all'Azerbaigian". "L'Azerbaigian agisce sul proprio territorio, che l'Armenia ha riconosciuto, quindi si tratta di un affare interno dell'Azerbaigian" ha sentenziato Peskov.

E queste parole esprimono bene quel delicato equilibrio che contraddistingue il Caucaso: una regione dove le alleanze e gli accordi sembrano sempre più mutevoli e che coinvolgono non solo le due parti in conflitto, ma anche Turchia, Russia e Iran.

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