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Gustav Thoeni, il re della valanga azzurra ora prepara colazioni

Dopo aver vinto di tutto con lo sci, ha voluto provare l'ebbrezza di fare un film: «Ma ho chiuso senza rimpianti» Ed è tornato a Trafoi dove gestisce l'albergo di famiglia

Gustav Thoeni, il re della valanga azzurra ora prepara colazioni

Bastano poche battute scambiate con Gustav Thoeni per capire molto di lui. Si dice che un campione sia tale solo se sappia mantenersi umile, sempre, e l'uomo di Trafoi, frazione del comune di Stelvio, ancora oggi si comporta come se nel suo palmares non figurassero quattro vittorie nella Coppa del Mondo generale di sci (1971, 1972, 1973, 1975 e secondo nel 1974), un'Olimpiade e vari mondiali, solo per limitarsi ai successi. Se Tomba, di cui Gustav è stato allenatore, fece esclamare a Giampiero Galeazzi lo storico strafalcione «siamo tutti dei grandi sciatori e sport invernali» per dire che l'Italia si appassionò alle sue imprese, Thoeni trasformò, all'epoca, lo sci da un hobby per pochi appassionati ad uno sport di massa, «costringendo» le stazioni sciistiche ad ampliarsi per accogliere le migliaia di neofiti che si innamorarono di questo sport, dando anche un impulso notevole al turismo. «La gente, allora, aveva i soldi, stava bene - ricorda Thoeni -. Grazie ai successi della Valanga Azzurra e anche a stampa e tv che cominciarono a darci una copertura sempre più importante, i tifosi, in massa, si misero gli sci ai piedi».

Tanti, per molto meno, vivrebbero di rendita per decenni. Thoeni, no. Lo puoi incontrare all'Hotel Bella Vista, la sua casa natale a Trafoi (dove nacque in un inverno nel quale caddero sette metri di neve, quasi a presagire il suo destino), situato nel Parco Nazionale dello Stelvio, di proprietà della sua famiglia da generazioni, portare avanti l'attività alberghiera insieme alla moglie e alla figlia più grande Petra Maria (ha tre figlie e otto nipoti). La giornata tipo? «Mi alzo per primo, apro e do poi una mano per preparare la colazione. Mi metto a disposizione dei clienti e li accompagno per delle escursioni guidate, come quella alle Tre Fontane Sacre, piccole sorgenti a 1.605 metri di altitudine che sgorgano dalla montagna e che risalgono al periodo medievale». E lo dice come se fosse un normale gestore di hotel e non un'icona dello sport mondiale. «Gli ospiti, spesso, mi fanno domande e io ben volentieri rispondo. Mi colpisce che, a distanza di 40 anni, mi chiedano ancora del famoso slalom parallelo del '75».

E qui, occorre riavvolgere indietro la cassetta dei ricordi. Era il 23 marzo di quel 1975, domenica delle Palme. A mezzogiorno, l'Italia si ferma. La Rai, trasmette in diretta uno slalom parallelo, da Ortisei, in val Gardena, destinato ad entrare nella storia. «Mi ricordo solo che fu una gara difficile - sorride Thoeni -. Dopo una stagione in rincorsa, arrivammo a quell'ultima gara io, l'austriaco Franz Klammer e lo svedese Ingemar Stenmark a pari punti: 240. Chi arrivava davanti nella discesa, vinceva la Coppa del Mondo. Dopo varie batterie, ci ritrovammo io e Stenmark in finale». Venti milioni di italiani incollati davanti agli schermi che, anche se in bianco e nero, facevano apparire ancora più abbagliante la neve contro le ombre e 50mila sfegatati assiepati lungo la pista gardenese a sostenere i due campioni. Chi vince, prende tutto e Thoeni parte subito con un leggero vantaggio. Stenmark spinge per recuperare, ma inforca a due porte dal traguardo. È il quarto trionfo del fuoriclasse italiano e raramente una vittoria ha emozionato così tanto da essere rammentata a distanza di così tanti lustri. Era il periodo della famosa Valanga Azzurra , che piazzava cinque italiani nei primi cinque posti di uno slalom gigante. «Non ci sentivamo invincibili e tra di noi eravamo avversari. Rispetto agli altri, forse, avevamo una preparazione migliore, un passo avanti».

Già da piccolo (all'età di tre anni iniziò a sciare sul prato davanti a casa) si intuì che questo silenzioso ragazzino poteva avere un futuro sportivo strepitoso e tra i primi, a capire le sue qualità, fu Rolly Marchi, storico collaboratore del Giornale e, soprattutto, straordinario scopritore di talenti. «Mi vide in un trofeo Topolino e mi predisse un futuro importante. Rolly era un gran personaggio - ricorda con affetto Thoeni -. Intuiva, come pochi, i campioni. Era unico nel suo genere». Il suo primo allenatore fu il padre Georg, definito dalla rivista austriaca Ski-Welt «un personaggio metà principe Orsini, metà Luis Trenker, campione giovanile italiano, campione fascista» e con lui gareggiava anche il cugino Roland. «Non ci si preparava come ci immaginiamo adesso, negli Sci Club. Con Roland ci inventavamo noi il percorso. Mettevamo i paletti lungo la pista e via». E dopo i tanti trionfi da protagonista, Thoeni ha contribuito, come allenatore, a fare grande un'altra icona del nostro sci come Alberto Tomba e, probabilmente, solo uno con il carattere di Gustav poteva incanalare il talento del bolognese. «La mia esperienza, sicuramente, è servita con lui. A volte, ad esempio, è meglio saltare un allenamento e riposare. Alberto era un personaggio particolare. Non con tutti poteva andare d'accordo. Di me si fidava. Io non gli davo la sensazione di legarlo. Certo, devi avere la stoffa e lui ne possedeva tanta. Lo vidi la prima volta in una squadra C, che faceva da apripista alla A. Mi bastarono poche porte per capire che aveva tutto. Mi sono informato su di lui. “Chi è?” domandai e subito mi sentii ripondere “Lascia stare, è di Bologna. È figlio di papà”. Ma un campione riconosce subito un altro campione».

Pensi al suo carattere e ti fa quasi specie ritrovare, nel suo curriculum, anche quello di attore. Ma qui, Gustav, ti spiega subito, sorridendo, che «quella di recitare, nel 1981, in Un centesimo di secondo è stata una bella esperienza, spinta dalla curiosità. Volevo vedere come si faceva un film. Fu Duccio Tessari a convincermi». Il lungometraggio era vagamente ispirato alla tragica vicenda di Leonardo David e alla discesa libera di Thoeni a Kitzbühel, del 1975, nella quale perse contro Franz Klammer per tre millesimi di secondo. In quella pellicola che, ad onor del vero, non ebbe molto successo nelle sale (resistette un giorno e offriva perle di battute del tipo «Come sto? Come un frullato di sciatore che ha fermato il treno con le gengive»), Thoeni lavorava accanto ad Antonella Interlenghi. «Diciamo che ho lasciato il cinema senza rimpianti». E, invece, te lo ritrovi in pieno quando scopri che, nonostante la sua grande popolarità, rifiutò di partecipare, a Milano, ad uno show televisivo. «Non ricordo neanche bene di quale trasmissione si trattasse. Mi sembra una cosa tipo “Isola dei famosi”». E qui, ripensando alle tante ex starlette sportive che, ancora oggi, fanno a gara pur di apparire, spesso con figure imbarazzanti, in uno di questi show, capisci che cosa sia la classe e perché il buon Dio l'abbia donata solo a poche persone.

Lo show business non era un mondo adatto ad una persona genuina come Thoeni. Meglio ritornare tra le sue amate montagne dove è stato nominato, nel 2000, sportivo sudtirolese del secolo. «Mi ha fatto piacere perché fui votato da tante persone. Ogni politico avrebbe voluto essere al mio posto». Qui, deve destreggiarsi anche come nonno con la stessa abilità che aveva quando sfiorava i paletti sulle piste. «I miei nipotini mi sono molto attaccati e io mi metto a loro disposizione molto volentieri. Mi chiedono “nonno, mi aggiusti la bici?”. Il più grande scia bene, gli piace. Vedremo se farà carriera». Uno come lui, non ha rimorsi. «Il rammarico nella mia esistenza non l'ho mai provato. Sono stato contento di come siano andate le cose. Il successo certamente ha cambiato, a quel tempo, la mia vita. Quando andavo in giro, la gente mi fermava e questo ti rende un po' diverso. Però, nel carattere direi di no. Sono rimasto sempre uguale». Un campione di umiltà. Un signore come ce ne sono pochi.

Purtroppo.

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