Letteratura

Herling, voce di libertà e della cultura europea

Lo scrittore polacco fu a lungo osteggiato dai comunisti italiani e francesi per aver raccontato la realtà dei gulag

Herling, voce di libertà e della cultura europea

Quando nel 1965 Rizzoli ripubblicò in Italia Un mondo a parte, uno dei libri più celebri dello scrittore polacco Gustaw Herling-Grudzinski (1919-2000), il quotidiano Paese Sera, vicino alle posizioni del Pci, chiese di espellere l'autore dall'Italia.

La «colpa» di Herling-Grudzinski, uno dei più grandi scrittori della Nazione polacca, era aver raccontato le verità dell'inferno del comunismo, in un'epoca nella quale un consistente pezzo del ceto intellettuale italiano magnificava acriticamente ogni cosa accadesse nel «paradiso sovietico», ritenuto il «sol dell'avvenire» comunista.

Purtroppo, oggi in molti hanno dimenticato chi sia Herling. Classe 1919, ha interrotto gli studi di letteratura per combattere l'invasione nazista della sua Nazione, poi finito come molti suoi connazionali tra i due fuochi dell'aggressione nazista e di quella sovietica, frutto perverso del patto Molotov-Ribbentrop. Nel 1940 viene catturato dalla famigerata polizia segreta di Stalin e recluso in un gulag. Ai sovietici che lo interrogavano ripeteva che voleva andare a combattere contro i tedeschi, come tutti i giovani polacchi. Ma all'epoca l'Urss non era ancora entrata in guerra contro la Germania e per questo Herling fu condannato a cinque anni di lavori forzati nel campo di prigionia di Ercevo, in Siberia. Solo dopo l'Operazione Barbarossa, Stalin decise di liberare gli intellettuali polacchi reclusi. Herling riacquistò la sua libertà e scelse di arruolarsi nel Secondo Corpo polacco del generale Wadysaw Anders, eroe della durissima Battaglia di Montecassino e padre dell'attuale Ambasciatrice polacca in Italia Anna Maria. Dopo la guerra, non potendo tornare a vivere nella Polonia finita sotto il giogo comunista, Herling si stabilì prima a Londra poi in Italia, a Napoli, dove avrebbe sposato la figlia del filosofo Benedetto Croce, Lidia.

L'esperienza del terrore staliniano e comunista nei gulag sovietici ha alimentato le pagine di tanti scrittori dissidenti, a cominciare da quelle di un altro gigante come Aleksandr Solzenicyn. Herling non è stato da meno e ha trasfuso le sue sofferenze, e quelle di tanti altri suoi compagni di sventura, in una sorta di diario del gulag. Memorie che vennero pubblicate per la prima volta a Londra nel 1951 con il titolo A World Apart: a Memoir of the Gulag, con una prestigiosa prefazione a firma di Bertrand Russell. In Polonia, finita sotto il tacco dell'Urss, ne circolò subito una versione clandestina. Mentre in Francia, nonostante l'intercessione amichevole di Albert Camus, non si trovò un editore disposto a pubblicare il diario di Herling. La ragione? Semplice: all'epoca raccontare le verità della «Chiesa comunista», e i suoi orrori, era considerata un'eresia. In Italia il libro non ebbe maggiore fortuna. Un mondo a parte fu pubblicato per la prima volta nel 1958 da Laterza, casa editrice da sempre vicina a Benedetto Croce. Il volume, su ammissione di Herling, venne stampato «controvoglia, quasi per un obbligo, diciamo così, familiare». La seconda edizione del libro di Rizzoli, nel 1965, fu accompagnata dalla stessa indifferenza e dallo stesso ostruzionismo da parte dell'intellighenzia nostrana. Paolo Mieli, più avanti, sottolineò che dell'opera vennero diffuse «pochissime copie».

Eppure, Un mondo a parte era, ed è, un capolavoro assoluto della letteratura del Novecento. Un testo con il quale Herling scardina le menzogne sovietiche e lascia parlare i fatti, con una testimonianza puntuale ed esatta della vita nel gulag. Senza cedere alla retorica, che pure il dolore patito in quel luogo avrebbe giustificato. Herling si mette al servizio della verità e testimonia quello che altri si ostinavano a negare, in nome dell'ideologia e degli interessi di partito. E il suo eroismo si esalta in gesti semplici. Nel penultimo capitolo del libro, lo scrittore racconta il momento in cui acquista per pochi copechi, la più piccola unità di moneta russa, la sua arma rivoluzionaria: un quadernetto di appunti con una matita. Un quadernetto e una matita con i quali avrebbe reso vivo e credibile ciò che di distruttivo ed assurdo aveva vissuto nell'inferno del gulag.

Come molti intellettuali non allineati all'egemonia del Partito comunista italiano, Herling troverà in Italia asilo e tribuna sulle pagine de il Giornale, diretto e fondato da Indro Montanelli. Di Benedetto Croce, maestro e padre di sua moglie, coglie l'idea di un'identità fra l'idea di Europa, idea impregnata e densa di storicismo, e l'idea di libertà.

L'Europa è stata molte cose nella storia. Anche guerre e contrasti, per fortuna superati. Ma è stata ed è anche qualcosa che è in noi. È un tratto di noi stessi, una ricchezza di pluralità nazionali, un patrimonio di cultura e arte che hanno dialogato per secoli.

Gustaw Herling-Grudzinski è uno dei simboli di questo dialogo e rappresenta una delle sintesi più riuscite del rapporto di amicizia e di affetto che lega due grandi Nazioni europee come l'Italia e la Polonia. Un rapporto che si celebra nel gemellaggio tra i nostri inni nazionali, che si declina nella difesa dei valori fondativi dell'Europa e dell'Occidente e che si snoda nel comune e determinato sostegno all'eroica resistenza del popolo ucraino contro la brutale guerra di aggressione della Russia.

Perché, oggi come ieri, non dobbiamo dimenticare che ci sarà sempre qualcosa di più forte dei missili, dei carri armati, dei campi di prigionia. Qualcosa di più forte del terrore, del giogo della dittatura, del tacco dell'oppressione. Amare la libertà e combattere per essere liberi. Istinti innati, scritti dentro di noi e che niente e nessuno potrà mai soffocare.

* Ministro della Cultura

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