Politica

I Bonnie&Clyde del Tennessee arrestati dopo 36 ore di fuga

La donna aveva freddato una guardia per far evadere il marito, condannato a 35 anni

Eleonora Barbieri

Ha sentito il rumore, forse, e ha spiato dalla finestra del primo piano della sua stanza in un motel alla periferia di Columbus, nell’Ohio: al posto del piazzale deserto, si è trovata davanti una trentina di poliziotti. E ha visto mentre uscivano a mani alzate, prima una donna, poi un uomo con la testa coperta dalla maglietta, lei che cade in ginocchio e si arrende agli agenti, senza emozione, senza più alcun sostegno. C’era solo Robin Penn, una cliente dell’America’s Best Value Inn, ad assistere alla resa dei «Bonnie&Clyde» del Tennessee. Una coppia in fuga, un marito e una moglie «politically correct» - lei un’infermiera bianca, lui un detenuto di colore, già condannato a 35 anni di prigione - colpevoli di aver ucciso una guardia carceraria davanti al Tribunale di Kingston martedì scorso.
La loro corsa, cominciata nel Tennessee, è proseguita verso Nord, attraverso il Kentucky e, poi, ancora più su, nell’Ohio, passando per motel e viaggi in taxi; dietro, sulla scia, il sangue di un agente, ammazzato a colpi di pistola da una moglie «innamorata», e pile di cibo di second’ordine ammucchiate sui tavolini delle stanze dove hanno alloggiato in queste poche ore. Gli uomini del Tennessee Bureau of Investigation li hanno inseguiti, lungo le numerose tracce lasciate: un furgoncino Chevrolet di colore dorato, abbandonato davanti a un motel di Erlanger, nel Kentucky; il tragitto in taxi fino a Columbus, durante il quale il conducente ha iniziato a sospettare della coppia, fino a riconoscerli, dopo poche ore, in televisione.
Jennifer Forsyth Hyatte, infermiera 31enne, per il marito George si era già fatta licenziare dal carcere di Tiptonville, dove lavorava fino a un paio d’anni fa: era stata sorpresa mentre passava del cibo all’uomo di cui si era innamorata, mentre lui era dietro le sbarre, alle spalle una carriera di fughe dalla polizia e tre condanne per rapina e aggressione. Lei, divorziata, viveva con i tre figli, il più grande di solo dodici anni. Ma loro erano col papà, in vacanza. Jennifer era sola, George in cella. Fino a martedì, quando è stato trasferito in un’aula del palazzo di giustizia di Kingston, dove si è dichiarato colpevole per l’ultima delle accuse a suo carico, altri cinque anni di prigione da pagare per un uomo definito dallo sceriffo locale un «violento criminale di carriera». Jennifer era lì fuori ad aspettarlo, a bordo della sua Ford Explorer, pistola alla mano. E, quando lui, in manette, è riuscito a divincolarsi dalle guardie e le ha gridato: «Spara», lei non ha esitato un istante, colpendo l’agente Wayne «Cotton» Morgan dritto nello stomaco e ferendolo a morte. Anche lei è stata sfiorata alla gamba da un proiettile, ha perso sangue: quando è uscita da quel motel zoppicava. È bastata una telefonata degli agenti: «Jennifer, venite fuori».

E ora rischiano la pena di morte.

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