Politica

I confini della laicità

La vicenda del finanziamento alle ricerche sulle cellule embrionali in Europa si è conclusa con un compromesso poco onorevole. Per l'essenziale è stato affidato agli Stati nazionali il lavoro sporco mentre l'Unione ufficialmente non si compromette ma assicura che, in seguito, i soldi non mancheranno. Difficile immaginare soluzione più ipocrita. Ma quel che è ancora più grave da un punto di vista culturale è che tale soluzione la si vorrebbe contrabbandare come una conquista di laicità. E poiché i laici italiani, in questa vicenda, hanno avuto un ruolo affatto marginale, varrà la pena affrontare il problema dal loro punto di vista. Mi riferisco, in particolare, ai laici del centro-destra che, negando in Senato i loro voti alla mozione con primo firmatario Buttiglione, hanno consentito al ministro Mussi di porre le premesse per contribuire al «compromesso europeo» e al governo Prodi di superare un altro arduo scoglio. Io penso che abbiano sbagliato, proprio dal punto di vista della loro laicità, per quanto concerne il metodo, il merito e più generalmente la politica.
Partiamo dal metodo. Il ministro Mussi, ritirando la firma dell'Italia dalla mozione di blocco senza neppure il supporto di un atto d'indirizzo del suo governo, ha violato per almeno due volte il concetto di laicità dello Stato. Ha tradito il principio di legalità, che gli avrebbe imposto il rispetto sostanziale di una legge per lo più confermata dall'esito di un referendum. Ha poi anteposto le urgenze della sua coscienza a quel precetto dello stato di diritto che impone una necessaria separazione tra la sfera pubblica e quella della morale personale. Il merito viene di conseguenza perché il ministro, di fronte alle difficoltà interne alla sua coalizione, non ha avuto nemmeno il coraggio di far valere fino in fondo il significato politico del suo gesto. Dal punto di vista laico, non dovrebbe esservi nulla di più odioso che contribuire all'edificazione di situazioni ambigue, fondate su non verità e miranti a stabilire compromessi oscuri, interpretabili da ognuno secondo le proprie esigenze. Invece, è proprio quanto la mozione della maggioranza approvata in Senato ha realizzato. Essa, per l'essenziale, si fonda su una affermazione ampiamente falsificata dalla scienza: la possibilità di compiere ricerche su cellule crioconservate, senza che ciò comporti la soppressione dell'embrione.
Un atteggiamento sanamente laico avrebbe imposto di considerare le cose per quel che sono per poi dividersi, se del caso, sulle conseguenze da trarne al cospetto della realtà effettuale, senza bisogno di nascondere o edulcorare queste conseguenze dietro formule scientifiche tanto incomprensibili quanto ambigue. Non c'è niente di laico, insomma, nel ritenere l'embrione una muffa o, da ultimo, un bene merceologicamente rilevante. Al più, vi è qualcosa di stupido.
I laici dovrebbero prendere atto laicamente, per l'appunto, di un'evidenza scientifica non falsificata: l'embrione è vita a tutti gli effetti. Poi possono dividersi tra quanti, come me, ritengono che questa vita vada rispettata sempre e in ogni caso, perché le conseguenze sociali e politiche che potrebbero derivare dall'infrangere tale barriera, sarebbero devastanti dal punto di vista innanzitutto della libertà individuale. E quanti, invece, sostengono che - così come nel caso dell'aborto (situazione che, invece, io giudico incomparabilmente diversa) - le circostanze reali impongano di sopportare la perdita provocata dalla distruzione della vita, per conseguire vantaggi sociali più rilevanti. Impostata in questi termini si tratterebbe di una discussione proficua nell'ambito della laicità, mentre ciò che è andata in onda è stata al più una pantomima clericale.
Giungiamo, infine, alla politica, laddove il paradosso di metodo e di merito si è perfezionato. In Senato, infatti, i cattolici del centro-sinistra, pur di salvare il loro governo, hanno accettato ciò che la loro coscienza assolutamente non può concedere: di transigere sul valore previo e assoluto della vita dal concepimento alla morte. I laici del centrodestra per i quali un vincolo di coscienza così forte non c'è, si sono invece rifiutati di raccogliere e far valere la premessa lasciata cadere dai cattolici progressisti, anche al prezzo politico di salvare il ministro Mussi e togliere da un serissimo imbarazzo il governo Prodi. Impossibile non domandarsi in nome di quale urgenza morale superiore abbiano compiuto tali scelte. Leggendo i resoconti della discussione, così come gli articoli a stampa che sono seguiti, la risposta è obbligata: il progresso della scienza.
Essi ignorano, evidentemente, che non vi è nulla di meno laico di questo mito. La vera scienza sa di essere fallibile: anzi, ambisce alla falsificabilità come propria irrinunciabile esigenza. Sa di non poter chiedere cambiali in bianco e di doversi assoggettare ai vincoli della morale e della legge. Gaetano Salvemini, che certo non era un clericale, lo aveva compreso sin dagli inizi del secolo scorso quando denunziava: «...il pregiudizio volgare che esista una scienza padrona di tutti i fenomeni, chiara e indiscussa in tutte le sue parti, capace di vedere, pesare, misurare, calcolare, riprodurre ed esperimentare tutto, superiore a qualsiasi suggestione esterna, immune da dubbi e da incertezze». Ci si chiede: è mai possibile che i laici italiani, dopo oltre un secolo, non abbiano ancora superato i dogmi dello scientismo e del progresso infinito? Possibile che non sappiano condurre una discussione senza paraocchi e fideistiche aspettative sulle sorti progressive per l'umanità? Quanti, a differenza del sottoscritto, non avvertono esigenze morali a priori, provino a convincere mettendo su differenti piani le perdite e i vantaggi che, in campo bioetico, la dismissione di ogni precauzione etica può arrecare. E dimostrino, se ne sono capaci, che i secondi sono maggiori delle prime.

Se, invece, si ostineranno ad affermare il loro punto di vista come esigenza morale a priori si condanneranno alla sconfitta ponendosi, per di più, al di fuori dei confini della laicità.

Commenti