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I giudici di Repubblica: sentenza già scritta, il premier andrà in galera

I segugi di Ezio Mauro vanno oltre i pm e la Costituzione: fanno il processo sul giornale e calpestano la presunzione d’innocenza

I giudici di Repubblica: sentenza già scritta, il premier andrà in galera

Il tribunale speciale di Repubblica si porta avanti: il Cavaliere ha già un piede nella cella. Va bene il processo lampo col rito immediato e il salto dell’udienza preliminare. Ma a Piero Colaprico e Giuseppe D’Avanzo, che firmano una lenzuolata a doppia pagina, non basta. Ruby esige altro. E già dalla titolazione ci informano che su Berlusconi incombe «il rischio del carcere». Addirittura?
Sì, qui siamo già oltre l’inchiesta e siamo anche al di là di quell’antico retaggio costituzionale chiamato presunzione di innocenza. Siamo oltre il processo, oltre l’eventuale sentenza, l’appello e la Cassazione. Siamo alla presunzione di colpevolezza. E non c’è tempo per riflettere su complicate questioni di procedura, sulla competenza o sul fantasma del tribunale dei ministri che aleggia sull’inchiesta di rito ambrosiano.
No, il ragionamento, serrato, è molto semplice: in caso di condanna, Berlusconi andrà dritto in galera. Repubblica ricorda anzitutto che il favoreggiamento della prostituzione è punito con una pena compresa fra i 6 mesi e i 3 anni. Poco? «Qualche sciocco - ammoniscono i due giornalisti - ironizza sull’esiguità della pena, come se la limitatezza della sanzione rendesse trascurabile il reato». E invece no: non è così. «Quello sciocco - prosegue la lenzuolata - ignora che, se dovesse volgere al peggio, non ci possono più essere scappatoie per il capo del governo, perché in questo caso non esiste la discrezionalità dei giudici. Anche se dovesse essere condannato (per dire) a una settimana di reclusione, a due giorni di carcere, nessun cavillo o prodigalità potrebbe impedire che quella settimana, quei due giorni, Silvio Berlusconi li sconti davvero». E così Repubblica scorta Berlusconi direttamente in cella.
Il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari aveva parlato nelle scorse settimane di declino, anzi di fine del berlusconismo, di una stagione al tramonto fino a ipotizzare un nuovo 25 aprile con la nascita di Futuro e libertà e l’uscita dei finiani dalla maggioranza. Si preparava, in parlamento e sui giornali, il ribaltone, la sfiducia era data per sicura, si aspettava il rantolo finale del governo. E intanto si lavorava all’uncinetto la soluzione di un esecutivo tecnico, o di solidarietà nazionale o di responsabilità. Tutto, fuorché guidato da Silvio Berlusconi. Sappiamo che le manovre di palazzo sono fallite, il Cavaliere ha vinto la sfida, anche se di pochissimo, ed è rimasto a Palazzo Chigi.
Un colpo duro per chi aveva già frettolosamente celebrato il funerale del premier. Tutto rinviato, tutto slittato a data da destinarsi, tutto di nuovo in alto mare. Ma ora c’è l’inchiesta su Ruby, l’inchiesta corre veloce e Repubblica corre ancora più veloce dell’indagine. Il grimaldello è l’articolo 4 bis del nuovo ordinamento penitenziario. Eccola, è questa l’arma segreta che chiuderà definitivamente i conti con il Cavaliere.
È incredibile: una settimana fa, preistoria, si attendeva con trepidazione l’esito della sentenza della Consulta: adesso il dibattito si è già spostato sui benefici concessi ai detenuti. I permessi premio, le misure alternative al carcere, addirittura il lavoro all’esterno, come se il Cavaliere fosse un mafioso o un assassino fra i tanti. Manca il pigiama a righe, la catena ai piedi e l’ora d’aria, ma non sempre si può avere tutto subito.
Comunque, l’attesa soluzione politica del fattore B passa per il carcere e per le pieghe dell’ordinamento giudiziario. Che all’articolo 4 bis mette un formidabile sbarramento ad un eventuale trattamento soft; per il reato contestato al premier, il favoreggiamento della prostituzione minorile, si può pensare alla detenzione a casa o all’affidamento in prova solo in un caso: quando i detenuti collaborano con la giustizia.
Siamo, come si vede, dalle parti di una specie di 41 bis preventivo. Carcere sì, ma non all’italiana. Carcere vero. Meglio se a spaccare pietre, come in una colonia penale. Poi, Repubblica ingrana la retromarcia e finalmente torna nel mondo: gli avvocati del premier sanno che il vero pericolo non è la galera, ma la «rovina della sua immagine». Che, ad ogni buon conto, può sempre rivelarsi utile per lo scopo ultimo, la cacciata del presidente del Consiglio da Palazzo Chigi. E allora, dopo aver vagheggiato qualche fortezza, magari un penitenziario di impianto borbonico su un’isola o austriaco dalle parti del Quadrilatero, Repubblica completa l’accerchiamento, prefigurando quel che accadrà già oggi o domani con l’arrivo delle carte milanesi alla giunta per le autorizzazioni di Montecitorio. Il quotidiano è pronto a impugnare quelle trecento torbide pagine e a scagliarle contro il premier.

Per la lapidazione finale.

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