«I modelli dei casseur sono le gang Usa degli anni ’80»

Olivier Roy, uno dei massimi esperti di terrorismo e islam, esclude che la rivolta abbia una matrice religiosa

Nostro inviato a Parigi

È uno dei francesi che gli americani stimano senza riserve. Quando ci sono da capire le dinamiche che riguardano l'integrazione, l'Islam e il terrorismo in Europa, il suo nome è il primo sulla lista. In questi giorni Olivier Roy - studioso del Centro nazionale per la ricerca scientifica di Parigi e autore di saggi illuminanti come «L'Islam mondialisé» - è molto sollecitato. Dall'Herald Tribune, per esempio, e da Newsweek, che nel numero in edicola pubblica un suo intervento. Tutti vogliono capire che cosa sta accadendo nelle periferie delle grandi città francesi. Anche noi del Giornale. Olivier Roy ci ha concesso questa intervista.
C'è chi parla di «rivolta islamica», chi di regia occulta. Sono ipotesi credibili?
«No. Ci sono due aspetti cruciali: questa è una rivolta innescata dai giovani senza alcun collegamento con gli adulti. I protagonisti di questi scontri non hanno mai più di 20-25 anni. Il secondo punto è che proprio perché nasce dal malessere di una parte precisa della popolazione che vive in zone delimitate - i quartieri alla periferia delle città - non ha una matrice religiosa. L'Islam non c'entra. La stampa internazionale sbaglia quando parla di ribellione dei giovani musulmani».
Che cosa ha provocato la rivolta?
«A far detonare la crisi sono stati i poliziotti, in particolare la morte di due ragazzini che per sfuggire a un controllo si sono infilati in una cabina elettrica, rimanendo fulminati. Ma questa è solo la causa contingente, il pretesto».
Quelle strutturali quali sono?
«La ghettizzazione di questi quartieri. Questi giovani nascono e vivono nei rioni alla periferia delle città senza alcuna prospettiva: non completano gli studi e anche quando trovano un lavoro è mal pagato o in nero. La disoccupazione è enorme, la possibilità di costruirsi una vita altrove inesistente. La piccola criminalità è diffusa, i traffici di droga la norma. È una popolazione alienata che si è ripiegata su se stessa, si sente esclusa dal resto del Paese. E che ha sviluppato una sola cultura: quella della violenza».
A che cosa mirano i casseur?
«Non hanno obiettivi immediati. La loro unica identità è quella degli emarginati suburbani. Il loro modello sono le gang americane degli anni Ottanta. E infatti nel loro modo di vestirsi, di comportarsi, di picchiare cercano di emulare le bande rionali di Chicago o Los Angeles».
C'è il rischio che la violenza dilaghi ulteriormente?
«Può diventare una vera rivolta solo in presenza di due fattori. Il primo è che altre categorie sociali si uniscano a loro, come accaduto nel maggio del 1968, ma questa eventualità mi sembra improbabile. La seconda è che prendano d'assalto sistematicamente i centri delle città. Questa è un'ipotesi che non si può escludere ma a cui io non do eccessivo credito».
Perché?
«Perchè la loro è una cultura di quartiere. Si sentono sicuri solo quando operano su un territorio conosciuto, tra i caseggiati dove conoscono gli obiettivi e dove possono trovare facilmente una via di fuga».
Il ministro dell'Interno Sarkozy sta gestendo bene la crisi?
«Assolutamente no. Ha optato per una comunicazione di immagine, di piccolo spessore, volta ad assecondare la sua immagine di duro. Parla di “feccia”, annuncia la “tolleranza zero”; questa sfida verbale non solo non impressiona i giovani, ma produce l'effetto opposto: i teppisti vogliono dimostrare che Sarkozy non controlla più le periferie. Vogliono punire la sua arroganza».
Perché la polizia non riesce a prevenire gli incidenti?
«Paga il prezzo di un altro errore di Sarkozy, che nel 2002 abolì la polizia di quartiere. Diceva che gli agenti non possono trasformarsi in assistenti sociali. Inoltre il governo ha tagliato i fondi per i programmi di integrazione. Risultato: la polizia non ha informatori nei quartieri. E senza un minimo di “intelligence” non riesci a prevenire. Non è un caso che non sia ancora riuscito ad arrestare un capobanda».
Fino a quando durerà questa violenza?
«Difficile prevederlo, ma non troppo a lungo. Prima o poi le bande si calmeranno da sole.

Ma se vogliamo evitare nuove violenze, bisognerà approfittare della tregua per impostare la politica di integrazione su basi completamente diverse. E non bisognerà avere fretta. L'operazione recupero richiederà molto tempo».

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