Economia

I nuovi fondi pensione: capitale o rendita?

Tutti i casi, e i limiti, in cui è possibile chiedere la liquidazione

Continua il nostro viaggio all’interno dell’universo della previdenza complementare, esaminando un altro aspetto peculiare, che forse più di tutti influenzerà la scelta se lasciare il Tfr in azienda o destinarlo alla previdenza complementare: le prestazioni. In generale parleremo di due tipologie di prestazioni: in capitale, corrisposta cioè in un’unica soluzione o rateizzata in maniera periodica ed in questo caso è definita rendita. È convinzione comune che le forme previdenziali integrative possano erogare esclusivamente una pensione complementare a quella erogata dal sistema previdenziale di base, ma è proprio così? Vediamo.
Il trattamento

di fine rapporto
Il lavoratore che deciderà entro il 30 giugno 2007 di accantonare il proprio Tfr maturando in azienda (o presso il fondo gestito dall’Inps per le aziende con almeno 50 dipendenti) si vedrà liquidare, una tantum, in caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato una prestazione sottoforma di capitale, comunemente chiamata «liquidazione», disciplinata secondo l’articolo 2120 del Codice civile.
Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di lavoro dipendente la quota annua maturata che si ottiene sommando tutte le retribuzioni mensili percepite da gennaio a dicembre (comprese le mensilità aggiuntive) e dividendo tale somma per un coefficiente annuo pari a 13,5.
Fondo pensione:

capitale o rendita?
Per i lavoratori che invece decideranno di destinare il Tfr a una forma pensionistica complementare (le condizioni di erogazione delle prestazioni sono imposte dalla legge ed indistinte per tipologia di forma previdenziale integrativa) le prestazioni pensionistiche potranno essere erogate dal momento in cui si matureranno i requisiti di pensionamento previsti dal sistema previdenziale di base. La prestazione potrà essere percepita in forma di rendita (pensione complementare) o in capitale, nel rispetto dei limiti fissati dalla legge.
L’aderente che al momento del pensionamento scelga di percepire una prestazione in forma di rendita, si vedrà erogare per tutta la durata della vita, una pensione complementare pagata periodicamente proporzionale al capitale accumulato e all’età a quel momento raggiunta, determinata applicando al montante accumulato dei «coefficienti di conversione» che tengono conto dell’andamento demografico della popolazione italiana e sono differenziati per età e per sesso. Ma al contrario di quello che molti pensano, il fondo pensione può anche erogare prestazioni in forma di capitale, secondo ben precise condizioni imposte dalla legge. Infatti l’aderente, al momento del pensionamento, ha facoltà di richiedere la liquidazione della prestazione pensionistica sottoforma di capitale nel limite del 50% della posizione individuale maturata. Traducendo, si potrà percepire metà del capitale accumulato, nel corso degli anni lavorativi, in un’unica soluzione e la restante metà sottoforma di assegno mensile.
Ma la normativa prevede anche la possibilità di entrare in possesso di tutto il capitale accumulato nel caso in cui si verifichi una particolare condizione.
Nel caso in cui, al momento di richiesta della prestazione (ricordiamo che la prestazione può essere richiesta in qualsiasi momento da quando si maturano i requisiti di pensionamento previsti dal sistema previdenziale di base), l’importo che si ottiene convertendo in rendita vitalizia immediata annua il 70% della posizione individuale maturata risulti inferiore al 50% dell’assegno sociale (per il 2006 era pari a € 381,72 mensili, corrispondenti a 4.962,36 su base annua), l’aderente può optare per la liquidazione in capitale dell’intera posizione maturata.
Spieghiamo meglio con un esempio: ipotizzando un coefficiente di conversione in rendita vitalizia immediata all’età di 65 anni pari a 0,05779 (come da tabelle reperibili nel Regolamento o Statuto della forma previdenziale integrativa) e un montante accumulato di 60mila euro, si può vedere come risultando la conversione in rendita del 70% del maturato (pari a 2.427 euro = 60.000 euro x 70% x 0,05779) inferiore al 50% dell’assegno sociale (2.481 euro = 4.962,36 euro diviso 2) sia concessa la liquidazione dell’intera posizione sottoforma di capitale.
La normativa conferma anche la possibilità di richiedere la liquidazione dell’intera prestazione pensionistica complementare in capitale per gli aderenti a forme di previdenza complementare, iscritti alla previdenza obbligatoria prima del 29 aprile 1993 ed entro tale data iscritti a una forma pensionistica complementare purché già esistente alla data del 15 novembre 1992.
E in caso

di decesso?
1) Ipotesi vecchio Tfr. Secondo l’articolo 2122 del Codice Civile, in caso di morte del lavoratore, il Tfr accantonato è corrisposto al coniuge, ai figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado. In mancanza delle persone indicate sopra, le indennità sono attribuite secondo le norme della successione legittima.
2) Ipotesi fondo pensione prima del pensionamento. In caso di decesso dell’aderente prima del pensionamento, il capitale accumulato può essere corrisposto, oltre che agli eredi, ad altri beneficiari designati dallo stesso, siano essi persone fisiche o giuridiche. In mancanza di tali soggetti, la posizione individuale resta acquisita al Fondo o devoluta a finalità sociali.
3) Ipotesi fondo pensione dopo il pensionamento. Ben diversa è la disciplina applicata al decesso dell’aderente durante la fase di erogazione della pensione complementare. L’iscritto al momento del pensionamento potrà scegliere tra diverse tipologie di rendita che garantiranno prestazioni complementari tanto più ridotte, tanto maggiore sarà il grado di tutela offerto ai familiari.
Infatti, solamente con la scelta di una rendita vitalizia reversibile (descritta in tabella) l’aderente è in grado di garantire, nell’eventualità di un suo decesso, la corresponsione della pensione complementare al beneficiario da lui designato. In caso contrario, il montante non ancora erogato sottoforma di rendita, rimarrà alla Compagnia di assicurazioni convenzionata con il fondo pensione per l’erogazione delle rendite.
Un’ulteriore tutela è stata introdotta dal decreto legislativo, n. 252/2005, consentendo ai Regolamenti e Statuti delle forme previdenziali integrative di prevedere, in caso di morte del titolare della prestazione pensionistica, la restituzione ai beneficiari dallo stesso indicati del montante residuo, cioè quello non ancora erogato come rendita all’aderente prima del decesso.
Importante. Sul sito www.ilgiornale.it sono disponibili alcuni esempi che mostrano quanto incide il costo sulla prestazione di rendita man mano che aumenta il grado di sicurezza verso gli eredi.


(3. Continua)

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