Politica

I segreti del tenore Caruso tradito dalla donna che amava

Stefano Zurlo

da Milano

Lettere, assegni, perfino una medaglia. Una mole impressionate di circa duemila documenti: Enrico Caruso torna a vivere insieme alla sua voce, alle sue esibizioni nei più famosi teatri del mondo, al suo amore, eterno e disperato, per Ada, alle preoccupazioni minute per l’esistenza. È davvero una miniera inesauribile la collezione di scritti di cui il Giornale è venuto a conoscenza e che il prossimo 17 giugno verrà presentata ufficialmente a Verona, la città in cui il grande tenore non riuscì mai a cantare.
La storia di queste carte è semplice ma avvolta da una cortina di riserbo. Un imprenditore lombardo ha avuto questo lascito dal nonno, a quanto pare uomo di fiducia di Caruso negli anni che precedettero la morte del tenore avvenuta all’hotel Vesuvio di Napoli nel 1921. L’industriale ha conservato gelosamente le reliquie per una vita, le ha lette e quasi imparate a memoria, ora, ormai anziano, ha deciso di far conoscere al mondo il suo tesoro. E per farlo ha scelto la strada della discrezione: ha affidato i documenti ad Alberto Franchi, un avvocato assai noto a Verona. Franchi e i suoi collaboratori hanno lavorato per mesi su due fronti: sul piano legale, inevitabile quando si ha a che fare con lettere che parlano di tante persone, danno giudizi, esprimono valutazioni; ancora è stata effettuata una scrupolosa ricognizione grafologica: i periti hanno accertato senza ombra di dubbio che la mano è proprio quella del grande tenore, nato a Napoli nel 1873, cresciuto in mezzo alla strada e diventato presto un bambino prodigio.
«Abbiamo centinaia di documenti - spiega l’avvocato Franchi - e possiamo dire che 1.200 lettere sono scritte da Caruso; poi ci sono quelle a Caruso». Questa volta la mano che torna di più è quella di Ada Giacchetti, l’amante e la donna di una vita, conosciuta nel 1897 a Livorno dove il tenore si era recato per interpretare La traviata e la Bohème e dove conobbe pure Giacomo Puccini. «Il rappporto con Ada - spiega Franchi - fu tormentatissimo, lei lo tradiva in continuazione, lui però l’amava follemente, anche se lei era sposata con un commerciante». Alti e bassi, euforia e disperazione, poi due figli: Rodolfo e Enrico junior.
Ada, mentre lui è all’estero per tournée lunghissime, lo informa sulle condizioni di salute dei due bambini, gli giura amore, gli parla di soldi e cambiali. L’uomo, fra un concerto e l’altro, le risponde, la esorta, la prega, la vezzeggia. In un’occasione, raccontando di una serata in cui ha interpretato i Pagliacci di Leoncavallo, spiega ad Ada di aver pianto lacrime vere dando voce al clown piangente. Lacrime vere perché lei lo tradiva con Cesare, il suo autista. Miserie e grandezze.
Ma anche i dettagli dell’esistenza. Ecco così la corrispondenza minuta con l’Italia per seguire i lavori commissionati per la villa Bellosguardo, non lontana da Siena. «Caro Gigi - scrive da New York il 24 ottobre 1903 su carta intestata Conried Metropolitan Opera Company - non sto a parlarti delle opere fatte perché sarebbe tempo sprecato e soltanto dopo Rigoletto, Aida, Tosca, Bohème, Pagliacci ieri sera feci Traviata con grande successo bissando la romanza». Èsolo l’incipit, poi si passa alle opere, esaminate capitolo per capitolo: «Pittori: mi pare che sia un po’ esagerato il preventivo, di tutte le camere, fatto. L’Ada mi dice che questo sarebbe un affare che potrebbe fare l’avvocato Masini». Ancora: «Cucina economica. L’Ada dice che è troppo grossa». In realtà la villa diventò uno splendore, ma il rapporto con Ada non resse alle troppe tempeste. «Ada Mia - iniziava la lettera inviata qualche anno prima da un vapore in navigazione sul Tirreno - sento già troppo presto la tua mancanza». Nel 1918 invece capitolò: aveva sofferto troppo. Caruso sposò un’altra donna, Dorothy Benjamin e da lei ebbe un’altra figlia, Gloria. Ormai per lui era finita. Nel giugno 1921 scese dal piroscafo a Napoli, la città in cui era nato e in cui aveva conosciuto i fischi più forti della sua carriera. Pianse. Dorothy l’accompagnò all’hotel Vesuvio: «Dorothy voglio vedere il sole». Aveva solo 48 anni.
Ora la sua scrittura, chiara e quasi elegante, torna fra noi, ospite inatteso. Fra i documenti - esposti dal 17 giugno a Verona in una saletta messa a disposizione dal patron della Bottega del vino Severino Barzan - ci sono, struggenti, anche gli assegni staccati al Metropolitan.

Per pagare l’opera ai più poveri.

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