I senatori a vita «uccidono» la Costituzione

Senza il voto di cinque senatori a vita, la Finanziaria non sarebbe passata e il governo sarebbe caduto perché, secondo il Regolamento del Senato, una votazione che termina in parità equivale a un voto negativo. E quel voto sarebbe finito alla pari: 157 a 157. Non si può quindi negare che il voto dei cinque senatori (due erano assenti, Andreotti e Pininfarina) sia stato politicamente determinante. E su questo punto Gianfranco Fini ha usato parole forti, affermando che non è democratico che il governo dipenda da senatori non eletti.
È evidente che, con le attuali norme, i senatori a vita sono in regola, e così Prodi con il suo governo. Ma qualche riflessione può essere utile proprio cercando di interpretare le norme. La Costituzione (articolo 49) afferma che «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Ne segue che la determinazione della politica nazionale passa, precisamente, attraverso i partiti che presentano candidati e portano in Parlamento i loro eletti. Ora, non essendo eletti, i senatori a vita vengono a mancare del presupposto della rappresentanza e quindi viene meno il loro diritto di partecipare a determinare la politica nazionale che viene approvata dal Parlamento.
La qualifica di senatore a vita non è poi univoca in base alla loro origine: da una parte ci sono gli ex presidenti della Repubblica, tali per diritto, e dall’altra ci sono quelli di nomina presidenziale, come stabilito dall’articolo 59: «È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario».
I requisiti posti in modo dettagliato dalla Costituzione per i senatori di nomina presidenziale sembra escludere proprio quello di un passato politico ancorché prestigioso. Infatti la qualificazione politica appare decisamente esclusa per i senatori a vita di nomina presidenziale in quando la specificazione dell’aver conseguito «altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario», proprio a causa di questo dettaglio, esclude l’avere accumulato meriti attraverso la carriera politica. Eppure, andando oltre lo spirito della norma costituzionale, questa via è stata largamente seguita. Attualmente sono due i senatori a vita tali per carriera politica, Giulio Andreotti ed Emilio Colombo; prima di essere eletto presidente della Repubblica, anche Giorgio Napolitano era stato nominato. Ovviamente qui non si tratta del valore delle singole persone, ma dello stravolgimento costituzionale. La rilevanza ai politici sarebbe infatti soddisfatta con la nomina degli ex presidenti della Repubblica a senatori a vita. Lo spirito dell’articolo è attualmente rispettato solo nei casi di Rita Levi Montalcini e Sergio Pininfarina.
Escludendo che la nomina a senatore a vita possa essere funzionale a «dare una sistemazione» a qualche personaggio, obiettivo perseguibile in altri modi, lo spirito dell’articolo potrebbe essere quello di mettere in primo piano, di fronte all’opinione pubblica, alcune personalità, fornendo loro una tribuna di altissimo prestigio per manifestare la propria opinione da una posizione non di parte, ma fondata su un'esperienza di vita particolarmente significativa. Accade invece che i senatori «politici» (ex presidenti della Repubblica o politici dal grande curriculum) prendano posizione, ad esempio attraverso interviste, come tutti gli altri politici, in un certo senso omologandosi ai senatori eletti, mentre i senatori «non politici» sono piuttosto taciturni, limitandosi a dare il proprio voto, cioè appiattendosi a un ruolo di parte, proprio contro lo spirito dell’articolo 59.


Mentre Clemente Mastella progetta di consentire di votare anche ai presidenti delle due Camere, non si può che registrare l’irresistibile vocazione della sinistra a politicizzare le più alte cariche dello Stato, le quali non sembrano restie a questi sviluppi, come si vede dai comportamenti dei vertici del Consiglio superiore della Magistratura o della Corte Costituzionale, che si infilano nello stesso procedimento legislativo in fieri, e lo stesso governo che tratta con le «parti sociali», quasi a formare un sinedrio non elettivo che scavalca il Parlamento.

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