Economia

I tedeschi rendono più europea la partita del gas di Eni-Gazprom

Ci sono novità in vista per South Stream, il consorzio formato dalla russa Gazprom e dall’Eni per creare una nuova pipeline che porterà il gas dal Mar Caspio all’Europa

Ci sono novità in vista per South Stream, il consorzio formato dalla russa Gazprom e dall’Eni per creare una nuova pipeline che porterà il gas dal Mar Caspio all’Europa. Dopo l’annunciata (ma non ancora avve­nuta) adesione dei francesi di Edf, ora sembra esserci un interesse an­che della tedesca Wintershall (grup­po Basf). È quanto emerge in seguito al weekend trascorso dal premier Sil­vio Berlusconi, nella tenuta vicino Mosca del suo collega, e vecchio ami­co, Vladimir Putin. Una notizia che ha riportatod’attualità il tema South Stream, con la sua coda di polemi­che. Il megaprogetto è nato dopo l’in­verno del 2005. Un inverno molto freddo in Europa per una ragione precisa: l’Ucraina, attraverso il cui territorio passano i gasdotti che col­l­egano attualmente la Russia ai mer­cati occidentali, ha chiuso i rubinetti nella speranza di ottenere vantaggi tariffari. Molte aziende, prive di rifor­nimenti energetici, hanno avuto dif­ficoltà; numerosi termosifoni si so­no spenti. Un ricatto, a farla breve, al quale i russi hanno risposto appunto lanciando l’idea di South Stream che collegherà i giacimenti del Mar Caspio all’Europa passando per il Mar Nero, sottraendosi così al cap­pio ucraino. Nel 2006 Gazprom ha proposto al­­l’Eni di entrare nella partita. E l’Eni ha accettato formando con il partner russo una società paritetica e garan­tendosi i diritti al gas portato da Sou­th Stream per 25 anni. Perché lo ha fatto? Si prospetta come un buon bu­siness? Sulla sua redditività futura non si può azzardare nulla, perché si tratta finora di progetti sulla carta. Sul suo valore strategico non sem­brano invece esserci dubbi. L’Italia va a gas. Avendo rinunciato al nucle­are, non potendo (né volendo) utiliz­zare il carbone perché troppo inqui­nante, dipende per le sue esigenze energetiche dal petrolio e dal gas. Quest’ultimo, in particolare, arriva in gran parte proprio dalla Russia che copre il 25 per cento del consu­mo nazionale. Normale quindi pen­sare di costruire una strada tranquil­la e sicura per far arrivare questo gas in Italia, senza esporsi a sorprese. Questa strada è South Stream. Ma il progetto ha sollevato criti­che. Da parte di concorrenti come il Nabucco, il consorzio americano che punta a realizzare una pipeline alternativa per fornire all’Europa il gas azéro e turkmeno; e da parte del­la Commissione europea che ha espresso timori per un’eccessiva di­pendenza dal fornitore russo. Que­ste ultime obiezioni politiche sono in parte rientrate qualche mese fa, quando i francesi di Edf, il colosso statale dell’energia elettrica, hanno aperto una trattativa per rilevare il 10% di South Stream (non è stato an­cora deciso tra Eni e Gazprom come liberare la quota per il nuovo part­ner). In tal modo il progetto ha perso il suo connotato bilaterale italo-rus­so per assumerne un altro comunita­rio. E questo dà maggiori garanzie a Bruxelles sulle capacità dei Paesi consumatori europei di equilibrare il peso del proprietario della materia prima.

Garanzie che dovrebbero es­sere ancora più solide se nella parti­ta riuscessero a entrare anche i tede­schi di Wintershall.

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