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Ideava spot di Frank Sinatra "Ma poi ho fotografato la Madonna di Medjugorje"

Gianni Romolotti: "Nell’immagine una nube che in cielo non c’era: una silhouette di donna col manto Zittisce i passeri, fa danzare il sole e converte gli scettici. Mi ha guarito dal cancro". Dopo un viaggio in Bosnia la sua vita è cambiata. Ora scrive ai vescovi. Per bastonarli...

Ideava spot di Frank Sinatra 
"Ma poi ho fotografato 
la Madonna di Medjugorje"

Il 1° maggio del 1987 uno scetticissimo Gianni Romolotti, pubblicitario di Milano rotto a tutte le esperienze al punto da dichiararsi «agnostico e vigliaccone», si trovava per la prima volta a Medjugorje in compagnia della moglie Marina, ancora più incredula di lui. Accanto c’era Grazia Viola, un’amica che il giorno prima li aveva tirati fuori dalla loro barca a vela nel porto ligure di Varazze e costretti a imbarcarsi su un volo charter Orio al Serio-Spalato, ultimi due posti disponibili, con la promessa di fargli passare un week-end fuori dall’ordinario. Erano circa le 18.40, l’ora in cui a partire dal 24 giugno 1981 la Madonna sarebbe cominciata ad apparire con frequenza mensile nel villaggio della Bosnia Erzegovina a sei ragazzi che all’epoca avevano tra i 10 e i 16 anni. «Grazia Viola si dimostrò di parola. Vidi qualcosa di straordinario. Guardavo il sole a occhio nudo, cosa normalmente impossibile a farsi. Tutti gli altri, eravamo in centinaia, lo stesso. E il sole prese a roteare, danzare, pulsare, assumendo varie colorazioni, prima azzurra, poi rossa, quindi rosa, e infine precipitò verso di me, tanto da costringermi a ripararmi istintivamente il volto con le mani. In pratica la stessa cosa che fu osservata alla Cova da Iria il 13 ottobre 1917 dalle migliaia di persone radunate intorno ai tre pastorelli di Fatima, incluso Avelino de Almeida, redattore capo di O Século, un quotidiano di Lisbona, che ne scrisse in prima pagina. Fu l’unica volta in cui non mi sentii costretto dal tempo e dallo spazio. Mi dissi: Gianni, la tua casa è qui. Mia moglie balbettò: “Mi sembra l’Apocalisse”».
L’indomani, alla stessa ora, Gianni Romolotti si mise in testa di voler documentare fotograficamente lo sbalorditivo fenomeno con la sua Olympus. «Un tentativo infantile», ammette adesso, «forse dovuto a una deformazione professionale: le immagini sono state la mia vita». Ma quello che accadde in camera oscura, al ritorno in Italia, lo lasciò senza fiato: «Un’inquadratura né verticale né orizzontale, mentre io ricordavo perfettamente d’aver puntato l’obiettivo perpendicolare al terreno, in direzione della canonica e della chiesa. Accanto alle cuspidi dei due campanili, una nuvola formava una silhouette di donna. Dal velo e dal manto si direbbe la Vergine. Ma io sono arcisicuro che quel giorno il cielo era terso, neanche una nube».
Da allora Romolotti tiene il negativo della foto in cassaforte e si dichiara «un fulminato». È convinto che la Regina della Pace di Medjugorje lo abbia guarito da un melanoma. Un risarcimento che gli era in qualche modo dovuto, visto che fu lui negli Anni 90 ad andare per primo dalla figlia di Darix Togni con in mano 15 milioni di lire per farsi noleggiare il Palatrussardi, trasformato da tendone del circo in tempio dello spirito: «Pullman da tutta Italia, a ogni raduno 10.000 persone avide di preghiera, rosari e litanie dalle 9 di mattina alle 7 di sera e un solo discorso: la meditazione di padre Slavko Barbaric, un francescano carismatico oggi sepolto a Medjugorje, che se non si fosse fatto frate sarebbe finito con i miliziani a strappare i testicoli ai nemici durante la guerra in Bosnia».
Guai però a definire Romolotti il boss della cupola (intesa come sommità del tempio) di Medjugorje in Italia, anche se, da quando vive a Celle Ligure, la chiesa di San Pietro, in via Untoria a Savona, certe sere è illuminata a giorno dalla presenza di tantissimi fulminati. Di sicuro sta facendo più lui per la fede mariana che non tanti tiepidi pastori d’anime. Alcuni, come don Luigi Negri, oggi energico vescovo di San Marino-Montefeltro, si può dire che li abbia convertiti: «Me lo ricordo quando veniva con le braghette corte a Celle. Roba da matti! I preti devono passare le vacanze in montagna, non al mare. Gli raccomandavo: don Luigi, vada a Medjugorje. Ma lui niente. Poi qualche tempo fa lo incontro e mi dice: “Sai Gianni, ci sono stato. È sorprendente”. Mi ha confessato d’averne parlato con Benedetto XVI in questi termini: “Santo Padre, se, come dicono, a Medjugorje c’è Satana, ebbene le assicuro che sta lavorando per noi”».
Nella visione di Romolotti, perfino Cl è già moderatamente eretica. Eppure fu a casa sua, in via Ripamonti a Milano, che il fondatore don Luigi Giussani trovò rifugio negli Anni 70, quando gli extraparlamentari di sinistra lo cercavano per fargli la pelle. «Fu costretto a togliersi la talare e a mettersi in abiti civili. Prestai la mia Simca a Paolo Volpara, che lo accompagnava, il quale mi lasciò in garage la sua vecchia Mercedes. E partirono verso destinazione ignota».
Conosciuto come grafomane nei vescovadi e nelle redazioni di mezza Italia, che tempesta di lettere dai toni apologetici quando non millenaristici inviate in copia anche al Papa, Romolotti non ama le mezze misure. Al cardinale Carlo Maria Martini, fautore dell’ecumenismo: «Ma è possibile che i vari imam musulmani si permettano di definirci “antropofagi” perché mangiamo il nostro Dio? Non è vero che le religioni sono tutte uguali: occorre che lo diciate e con chiarezza». Al cardinale Dionigi Tettamanzi, che da arcivescovo di Genova aveva assolto i contestatori del G8: «Oggi la gente ha letteralmente fame di Dio, non di posti di lavoro! Diamoglielo, questo Dio, altrimenti se ne vanno dai guru, dagli arancioni, nel Tibet e dai maghi».
Ma la sua bestia nera è don Antonio Sciortino, direttore di Sfamiglia Cristiana, come la chiama lui: «Mi mandò l’invito per un happening in occasione del lancio della nuova veste grafica. Si teneva nella discoteca Alcatraz, presenti le ragazze-cubo, all’insegna dello slogan “Né casa, né chiesa”. Ciumbia! Gli scrissi: “Questo infelice payoff, così si chiama nella soave terminologia pubblicitaria che purtroppo conoscete bene, è un pessimo suggerimento che qualche creativo vi ha proposto e che voi avete accolto con entusiasmo. Si spiega con l’ossessiva mania che ha preso tanta parte della Chiesa, quella di voler scimmiottare il mondo. Un cristiano invece dovrebbe essere scomodo e dare scandalo, così almeno la pensava San Paolo”. E don Sciortino è un paolino».
Lei di payoff se ne intende.
«Un pochino. Ho lavorato in molte agenzie italiane e straniere, Studio Sigla, Ted Bates, Lspn di Eugenio Cefis, Odg. Sono stato account di Perugina, Buitoni, Agip, Mobil, Ip, Bic, Manetti & Roberts, Locatelli, Dreher. Il mondo dei lustrini l’ho conosciuto bene. Negli Anni 60 ho accolto Frank Sinatra a Roma, reduce da una tournée in Israele. Doveva cantare un motivetto negli studi della Rca di via Tiburtina e ripartire subito. Sull’asfalto fu incollato un tracciato di orme rosse, dall’elicottero alla sala di registrazione: non voleva sbagliare direzione e perdere tempo. Invece Raffaella Carrà, che faceva i caroselli per l’Agip, pretese una Rolls-Royce bianca per andare a pettinarsi dai parrucchieri Vergottini di Milano».
Quelli che crearono il «casco d’oro» di Caterina Caselli.
«Ma guardi che sono tutti uguali, eh, tutti. Compreso il rifondarolo Citto Maselli, regista degli spot Perugina: votava Pci e collezionava auto di lusso».
Lei è anticomunista, mi par di capire.
«Sono nato a Pontinia, provincia di Littoria, poi Latina, nel 1936. Mio padre si occupava del personale impegnato nella bonifica delle paludi e mio zio curava col chinino i poveri contadini immigrati dal Veneto che si prendevano la malaria. Famiglia cattolica: mia madre andava a caccia di bufali nell’Agro pontino col vescovo locale. Ma anche laica: nel dopoguerra papà fu chiamato a Bergamo dal cementiere Carlo Pesenti a dirigere Il Giornale del Popolo, che si opponeva all’Eco di Bergamo, il quotidiano della curia. Sono cresciuto a Reggio Emilia, nel triangolo rosso, e ho visto con i miei occhi che cosa facevano i compagni. Avevo 9 anni quando una mattina, andando a servire messa da don Iori, vidi un uomo con le braccia spalancate appiccicato al muro: l’avevano inchiodato a mitragliate, come su una croce. Un’altra mattina, al numero 28 di via Emilia Santo Stefano, c’era un morto per terra con un pezzo di cervello che pendeva dal pomolo dorato del portone: gli avevano spaccato il cranio in quel modo».
Si parlava di Carosello.
«Alla fine nel 1979 fondai una mia agenzia, Realtà. Il principale cliente era Salmoiraghi & Viganò, ottica. Dopo due mesi Silvio Berlusconi mi convocò nel suo ufficio in via Rovani: “Venga a lavorare con me. Le offro il doppio del suo fatturato”. Il mio giro d’affari allora era di 700 milioni di lire, rivalutati a oggi 2 milioni di euro. Quindi è come se mi avesse offerto quasi 8 miliardi di lire. Da non dormirci la notte. Risposi: grazie, ma con la testa che mi ritrovo preferisco lavorare sul mio. “La capisco, è quello che faccio anch’io”, concluse. Tentò di reclutarmi anche l’Aga Khan. Cercava un coordinatore per la nascente Costa Smeralda. Le sembro il tipo che d’estate s’infila un vestito bianco e con una flûte di champagne in mano vende villette ai nababbi?».
Come s’è convinto che la Madonna appare tutti i mesi a Medjugorje?
«Potrei risponderle: perché cessa d’improvviso il cinguettio di migliaia di passeri, che riprendono a cantare solo ad apparizione conclusa. O perché la mia amica Isabella Orsenigo, ex sofisticata direttrice di Grazia, ora assiste 3.000 orfani di guerra su un’isoletta della Croazia. Ma è il clima d’entusiasmo ad avermi conquistato, la voglia d’abbracciarsi che pervade i fedeli. A Medjugorje avverti una presenza reale. Altrimenti non si spiegherebbero i 40 confessionali dove i pellegrini si mettono in coda per confidarsi con sacerdoti di tutte le nazionalità. Come dice Cristo, è più difficile convertire un peccatore che resuscitare un morto. Le grane cominciano quando torni a casa».
In che senso?
«Gli amici ti guardano storto: ma come, eri un puttaniere e adesso fai il santerello? I clienti non ti dicono nulla, però te lo fanno capire. E dopo un po’ ti mollano. Per fortuna a me ne sono arrivati di nuovi. D’altronde non si può essere cristiani moderati. “Il vostro parlare sia sì, sì; no, no. Il di più viene dal maligno”, prescrive il Vangelo. Ecco perché preferisco rischiare di parlare troppo piuttosto che troppo poco».
Il Vangelo non prescrive anche alle pecorelle di amare i loro pastori? Invece lei bastona il cardinale Tettamanzi, che resta pur sempre il suo vescovo.
«Venne in visita alla Marconi di Genova, industria elettronica di cui curavo l’immagine istituzionale. Non ricordo d’averlo visto benedire i reparti. Parlava solo di disoccupazione. Quando i musulmani sono andati a pregare davanti al Duomo di Milano, lui ha fatto chiudere le porte. Doveva uscire e recitare il rosario, invece. Lo saprà che adesso quella piazza per l’Islam è diventata terra consacrata? Aveva ragione Paolo VI: “Attraverso qualche fessura, il fumo di Satana è entrato nella Chiesa”. Basta guardarla come edificio, per rendersene conto. Ma lei ha visto i nuovi templi che le gerarchie fanno progettare ai vari architetti Fuksas? Seguii per conto di Cefis la campagna pubblicitaria Dio cerca una casa da dividere con te della diocesi di Milano e l’unica cosa che dissi al cardinale Giovanni Colombo, un grande parroco, fu che occorreva fabbricare nuovi cristiani, non nuove chiese. Quelle esistenti bastavano allora e bastano oggi. È la fede che manca. Abbiamo bisogno di pastori che ci sveglino, che ci diano la dottrina. E che si affidino ad architetti cattolici praticanti, non atei».
Ma se suo figlio non vuole andare a messa, che fa? Lo ammazza?
«Mia moglie frequenta la chiesa ma non si confessa e non si comunica. Mia figlia è divorziata e risposata civilmente davanti a un sindaco vestito da pinguino. I nipoti appena apro bocca si danno di gomito. Non creda che la mia situazione sia facile. Sono il matto di famiglia. Cristo crocifisso è scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani, dice San Paolo. I cristiani sono improponibili».
Mi racconti del suo melanoma.
«Mi fu diagnosticato nel giugno del 2001. Una macchiolina sulla fronte. Mia sorella: “Mettiti nelle braccia del Signore come un bambino”. Mia moglie: “Adesso andiamo dal concessionario e compriamo un’auto nuova”. Dopo qualche mese: “Non preoccuparti, saprò cavarmela, ho le spalle larghe”. Mia figlia: “Stai tranquillo, papà, tu sei come la gramigna che non muore mai”. E lì subentra il narcisismo. Chi terrà l’orazione funebre? Quali nobili parole dirà? Si può sorriderne, ma viene in mente anche questo. Leggersi in proposito Il povero Piero di Achille Campanile, un monumento al paradosso della morte».
Era già rassegnato al destino ineluttabile.
«La sofferenza aiuta ad avvicinarsi a piccoli passi all’appuntamento che conta di più. Ti trasforma giorno dopo giorno in un’altra persona. Cammini per strada col tuo bel melanoma e vedi tutti tranquilli e sereni: chi compra il giornale, chi conversa, chi litiga per un posteggio. Pazzi, autentici pazzi. Offrire la vita per una buona causa? Forse un giorno, prima dell’arrivo del cancherotto, devo aver pensato a qualcosa del genere. Oggi mi confermo che non ho implorato la guarigione: ho solo chiesto di morire soffrendo il giusto per le mie spalle, pensando che si trattava di poco, un attimo, e poi sarei stato in pace. Quando, dopo il secondo intervento chirurgico, mi hanno informato che gli esami erano negativi, ecco l’idea vincente: allora muoviti, cambia vita, fai del bene, ti sono ancora concessi dei giorni preziosi. “Attenti a non disperdere l’utilità del dolore”, ammonisce Sant’Agostino. Era un uomo piuttosto intelligente».
(468. Continua)
stefano.

lorenzetto@ilgiornale.it

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