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"La videocamera sulla divisa? Va bene solo contro la polizia"

Il segretario del sindacato degli agenti: "Sì alla sperimentazione. Nei cortei filmano tutti, ma se lo facciamo noi invocano la privacy"

"La videocamera sulla divisa? Va bene solo contro la polizia"

Sta per partire a Milano, Napoli, Roma e Torino la sperimentazione dei «videopoliziotti». Centosessanta agenti che svolgono compiti di ordine pubblico porteranno una videocamera sulla divisa per filmare quello che succede durante il servizio nelle manifestazioni e negli stadi. Una misura chiesta a gran voce dal sindacato di polizia Sap, che aveva lanciato la campagna «Verità e giustizia» chiedendo, appunto, telecamere per gli agenti e un magistrato presente insieme alla polizia durante le manifestazioni di piazza. Ma anche se una delle richieste sembra essere stata accolta, il segretario del Sap Gianni Tonelli si dice «molto perplesso».

Cosa non le torna?

«Diciamo che è una questione sulla quale noi abbiamo forzato la mano, fornendo ai nostri iscritti in Emilia piccole telecamere, le spy pen, con un'iniziativa che ha fatto discutere e che intendiamo ancora allargare a tutta Italia. Ovviamente l'avvio della sperimentazione ci fa piacere, ma va anche detto che se siamo noi a chiedere che venga ripreso ogni nostro respiro, vuol dire che qualcosa non funziona nel sistema».

E che cosa non funziona?

«Non funziona che il sistema che noi difendiamo ci avversa. Abbiamo più paura di un avviso di garanzia che di una rapina a mano armata, e dunque siamo noi che chiediamo di metterci sotto una campana di vetro. Adesso il Dipartimento finalmente parte con la sperimentazione. Ma come primo passo ha interpellato le procure delle quattro città interessate. E già questo mi lascia perplesso».

Perché?

«Stiamo diventando un Paese di “supercommon law”, ma qui se servono regole chiare invece di demandare il compito alla magistratura dovrebbe essere il governo a pensarci. Bisogna regolare la materia con un decreto, non con le varie procure. Se siamo in uno Stato di diritto, allora sia lo Stato, con una legge, a decidere che cosa fare. E non è l'unico problema all'orizzonte».

Che altro c'è che non piace dei «videopoliziotti»?

«Si è sollevata una questione di privacy, caldeggiando l'intervento del garante».

Eppure nelle manifestazioni le telecamere non mancano, da una parte e dall'altra.

«Esatto. Nessuno ha da ridire se la polizia scientifica filma nei cortei, per non dire dei manifestanti, o delle telecamere di sorveglianza che sono dappertutto. E allora perché le videocamere sulla divisa non vanno bene? Tra l'altro, nel momento in cui salta fuori un fotogramma o un filmato per accusare un poliziotto, questo viene adorato come fosse una reliquia. E se invece con le immagini dobbiamo difenderci, ecco che saltano fuori i problemi. È paradossale. Già per chi indossa una divisa il diritto alla difesa diventa problematico, se poi l'onere della prova si sposta dall'accusa all'accusato...»

Sembra un percorso a ostacoli. Come Sap che cosa proponete?

«Il ministro Alfano deve farsi carico di un decreto sulla questione. È assurdo che i poliziotti non possano, in nome della trasparenza, certificare quello che fanno mentre sono in servizio. Ormai è una necessità, visto che ogni asino che raglia finisce per trascinarci alla sbarra. C'è un problema operativo, vorremmo poter lavorare con serenità».

E le telecamere sulla divisa aiuterebbero a fare chiarezza in caso di scontri. Pensa che a qualcuno dia fastidio proprio questo?

«Posso dire che quando a Bologna abbiamo cominciato a lavorare con le spy pen ci sono state molte polemiche. Ma come? È un'operazione di trasparenza e c'è chi si dice contrario? Forse non fa comodo a qualcuno che se un poliziotto viene trascinato alla sbarra e poi l'agente, grazie ai filmati, prova la calunnia, poi quel qualcuno dovrà risponderne. Di certo c'è che solo in Italia possono accadere queste cose».

Non è che al posto delle telecamere basterebbe seguire il vecchio adagio «male non fare, paura non avere»?

«No, le telecamere servono, sono l'unico modo per difenderci, e sono una garanzia per tutti, anche per certificare gli eventuali nostri errori. Errori che peraltro sono commessi in percentuale insignificante rispetto a qualsiasi altra professione, come i chirurghi, i giornalisti o i magistrati. Quando parliamo di verità e giustizia, intendiamo che la giustizia passa per la verità».

E serve un filmato per certificarla, questa verità?

«L'unico modo per tutelarci è la trasparenza. È bastato che si diffondesse la notizia che a Bologna i poliziotti avevano la spy pen per far crollare in zona gli eventi negativi».

Potere di dissuasione dell'occhio elettronico?

«Direi di sì. Per dirne una, quando arrestiamo qualcuno, quasi sempre questo si provoca una lesione, dando una testata al muro o tirando un calcio a un tavolo. Poi accusa i poliziotti, e noi veniamo trasformati da testimoni in indagati in procedimento connesso, e per il conflitto di interesse la nostra parola, a quel punto, vale molto poco. Negli Usa ci sono telecamere dapertutto e la consapevolezza che tutto viene filmato ha azzerato questo genere di episodi».

Insomma, ciak si filmi.

«Assolutamente sì. La sperimentazione deve andare avanti. E non devono esserci ostacoli.

Tutti filmano “contro” i poliziotti - e in tribunale poi quei video sono superprove - e se lo facciamo noi invece ci sono problemi? Mi sa che in Italia ci siamo bevuti il cervello».

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