Cronache

Fedeli oltre la morte. "Io e il mio Bovolenta non ci lasceremo mai"

L'appassionata dichiarazione d'amore di Federica Lisi al marito, pallavolista scomparso in campo nel marzo 2012

Fedeli oltre la morte. "Io e il mio Bovolenta non ci lasceremo mai"

Mi chiamo Federica Lisi Bovolenta, ho trentasette anni e cinque figli. Sono la moglie di Vigor Bovolenta, il campione di volley che in molti ricorderete, quel pezzo d'uomo con i ricci sulla faccia, duecentotré centimetri d'altezza, che poi è lo stesso numero delle partite che ha giocato in Nazionale, mentre cinquecento e passa le ha giocate in Serie A. Bovolenta ha vinto molto: medaglia d'argento alle Olimpiadi del '96, World Cup, Europei, World League, quarto posto Olimpiadi Pechino 2008 e altro.
Vigor Bovolenta. Bovo per gli amici e per me. Quindici anni insieme. Poi lui se n'è andato. Normalmente gli uomini che se ne vanno dicono cose tipo: «Dobbiamo parlare tesoro... è da tempo che mi sento così...», «Voglio che tu sia felice...», «Voglio riprendermi la mia vita...», «Siamo fermi, voglio andare avanti, voglio tornare a essere me stesso, voglio anche ritrovarti, prima però voglio lasciarti...», «Abbiamo dimenticato chi siamo... facciamolo per il nostro bene...». Dicono così, lo dicono anche le donne. Lui se n'è andato in un altro modo. Se n'è andato senza lasciarmi. E senza lasciarmi istruzioni. Se n'è andato restando dentro la mia vita. Restando la mia vita. Quando le persone mi raccontano le loro crisi coniugali, le loro separazioni, le ascolto e le capisco pure, ma le loro realtà mi appaiono come quei film che non andrei mai a vedere. Dopo quello che mi è successo, qualche volta penso che, chissà, magari sarebbe stato meglio se anche io e Bovo ci fossimo lasciati, poi ritrovati e rilasciati. Se fossimo stati «litigati» per il resto dei nostri anni, dormendo persino in due camere separate, tanto, per come eravamo fatti, non avremmo resistito a stare separati. Qualunque cosa, tutto sarebbe stato meglio di quello che è successo in realtà, ma a che serve pensarlo? Noi eravamo di quelli che dicono «non ci lasceremo mai» e quando lo dicono sentono un brivido e hanno le lacrime agli occhi. Certo, poteva succedere anche a noi, come a tutti quelli che, pur dicendosi «non ci lasceremo mai», poi, alla fine, si lasciano. Ma io non riesco a pensarlo. Io e Bovo non ci saremmo lasciati mai. E così sarà nonostante tutto. Noi non ci lasceremo mai. Bovo per sempre, Bovo nel cuore, Bovo in tutti noi: scrivono così in certi striscioni durante le partite. Quest'anno lo hanno scritto tantissime volte. Bovo per sempre. Sono striscioni grandi, colorati, struggenti. Uno di questi è dentro di me. Dentro il mio cuore, mentre penso al suo. Al cuore di Bovo, che era mio, al mio che era suo. Il cuore di Bovo, è lui che ha deciso tutto, ed è stato sempre di lui che si è parlato, dopo. Quanto protagonismo si è preso questo muscolo che batte e decide... Che batte e decide, come in campo. Bovo batte, poi qualcuno alza, si passano la palla... Bovo fa un salto che sembra quello di una tigre in sfida con il cielo... Bovo schiaccia e dà un colpo da far tremare la terra... Bovo e la magia della vittoria che risuona nei respiri di mezzo palazzetto. Poi la partita che termina. Il suo cuore ha fatto lo stesso, ha terminato la partita, per sempre però.
Ha schiacciato la sua vita e la mia, quel cuore che mi aveva amato e che, quella sera, in campo, durante l'incontro Macerata-Forlì ha smesso di battere all'improvviso. Lo ha fatto così, un po' a cazzo, mi si conceda l'espressione. Bovo per sempre. È proprio come una scritta incisa nella mia anima, e sta lì, anche quando il vento cambia, quando si ferma, quando fa paura. Il vento che a volte arriva e si porta via tutto quello che abbiamo, la parte più importante di noi, senza la quale ci sembra di non ricevere più vita, di non poter più crescere. Ma poi non è così. Qualcosa resta sempre e si cresce ugualmente, come alberi le cui fronde si piegano verso il fiume anziché andare verso il cielo, come commedianti che accolgono l'improvviso colpo di scena. Si continua a giocare, a recitare; anche dal basso il cielo si vede lo stesso. Io, ora che lo so, cerco di non avere paura, di essere forte. È da un anno che mi sforzo di esserlo ogni giorno. Ci sono momenti in cui penso che cederò e manderò tutto all'aria. Altri in cui penso che sarò più forte di qualunque cosa che mi possa capitare. Mi trovo sempre tra le due cose più estreme, la migliore o la peggiore. E alla fine quello che sento dentro mi riporta a lui, a Bovo per sempre. Tuttavia, i miei pensieri non possono cambiare la realtà di quello che è successo. Quel nostro «non ci lasceremo mai» non è lo stesso che potrebbero dirsi due normali innamorati. Non c'entra più nulla con la vita di una coppia che sta insieme, si ama, fa il mutuo per la casa, litiga, fa pace, cresce i figli. Quel nostro «non ci lasceremo mai» ora mi suona strano. «Non ci lasceremo mai» inteso «tu in cielo io in terra», pare facile, manco fosse una consolazione! Da quando è successo tutto, io sono come due persone. È uno dei vari motivi per cui voglio raccontare questa storia: voglio raccontarla per rimettere insieme le mie due metà, la Federica di prima e quella di adesso. E voglio farlo perché i miei bambini mi abbiano tutta intera, quella che conoscevano prima del 24 marzo 2012 e quella che hanno conosciuto dopo, dal 25 marzo 2012 in poi. Due cose completamente diverse ma che alla fine formano me, la loro madre. E comunque, anche se a volte mi sembra di avere avuto due vite, so che non è possibile. Magari avessi potuto averne due.

Una delle due l'avrei data a Bovo.

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