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Accordo sui tecnici Ma i partiti insistono per i big in squadra

Prima intesa su Giovannini allo Sviluppo e Ferrari alla Salute. Ma i vicepremier saranno politici: pronti Alfano, Letta e Mauro

Angelino Alfano ed Enrico Letta
Angelino Alfano ed Enrico Letta

Roma - Il conto alla rovescia verso la soluzione del «rebus Palazzo Chigi» è ormai partito. Esaurite le consultazioni, Giorgio Napolitano, dopo una notte di riflessione, scioglierà gli ultimi dubbi e assegnerà l'incarico al premier che riterrà più adatto a guidare il Paese nella tempesta attuale.
Il tempo della pretattica e dei veti incrociati è finito. Il range dei possibili presidenti del Consiglio si sta restringendo e difficilmente la scelta cadrà su nomi diversi da Giuliano Amato ed Enrico Letta, con il primo più gradito al Pdl e il secondo sponsorizzato dal Pd. Se la candidatura di Matteo Renzi a Palazzo Chigi doveva uscire dalla direzione del Pd, ebbene l'affondo non è stato portato con grande convinzione. La riunione dei democratici si è rivelata soprattutto un processo al partito. E le sole indicazioni sono state offerte su nomi esterni, come quello di Enrico Giovannini, presidente dell'Istat, identificato da alcuni come candidato a bassa intensità politica. Insomma se davvero dovesse uscire una candidatura Renzi (ipotesi a questo punto improbabile) questa certo non raccoglierebbe un consenso unanime nel partito che si è lasciato sfuggire l'occasione per un lancio in grande stile del sindaco di Firenze.
L'uomo su cui invece il Pd sta puntando è Enrico Letta, sia pure nella giungla delle divisioni interne, visto che l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio raccoglie sì l'appoggio di Pier Luigi Bersani ma non è ben visto da Rosy Bindi. A detta di molti Letta sarebbe meno «divisivo» di Amato e offrirebbe una immagine più nuova. A meno che, sostengono altri, non si decida di puntare su nomi meno usurati come Graziano Delrio o Sergio Chiamparino (che potrebbero entrare anche nel totogoverno). La selezione della squadra dovrà anche fare i conti con la necessità di arrivare all'obiettivo prima possibile. Giorgio Napolitano vorrebbe chiudere entro la settimana, Silvio Berlusconi ritiene che anche se fossero necessarie quarantotto ore in più non sarebbe un problema. Ma comunque entro breve i nodi si scioglieranno e l'esecutivo potrà affrontare la prova più dura: quella della fiducia. In questo senso si vanno profilando le posizioni dei vari partiti, con il Carroccio che ha ufficializzato il suo no alla creatura che sta per nascere. «Si è aperta una partita dai ritmi serrati che non prevede tempi supplementari. Un governo a guida Amato, o tecnico come quello di Monti, vedrebbe però la Lega Nord all'opposizione» annuncia il vice segretario, Giacomo Stucchi.
La composizione del mosaico governativo varierà, naturalmente, in base alla scelta del presidente del Consiglio, soprattutto sul fronte della scelta dei vicepremier. Se Amato sarà il presidente del Consiglio, Berlusconi vorrebbe Gianni Letta come sottosegretario alla presidenza. Un nome di garanzia su cui Berlusconi non sarebbe disposto a cedere. Difficile invece che l'operazione possa andare in porto se la decisione del Colle dovesse ricadere su Enrico Letta. In questo caso come sottosegretario o come vicepremier potrebbe esserci uno tra Renato Schifani, Maurizio Lupi o Mara Carfagna.
Per quanto riguarda la rosa dei ministri l'intenzione è quella di ancorare il più possibile l'esecutivo a nomi «pesanti» che implichino un profilo alto e un coinvolgimento dei partiti. Resistono, pertanto, le ipotesi di profili di primo piano come Massimo D'Alema agli Esteri o Dario Franceschini alla Difesa per il Pd e a questo punto forse anche l'ex premier Mario Monti. Per il Pdl il nome nuovo è quello di Antonio Martino alla Difesa, oltre a quello di Gaetano Quagliariello alle Riforme, oltre che dello stesso Schifani. Mentre per l'Economia oltre alla «riserva» di Bankitalia c'è sempre in lizza il nome di Pier Carlo Padoan, oggi all'Ocse. Una squadra che verrebbe completata attingendo al bacino dei saggi come Luciano Violante alla Giustizia (con la possibilità di una outsider come Fernanda Contri). Prima dei nomi, però, bisognerà lavorare sui numeri.

Per evitare che le divisioni interne al Pd possano agire da braciere in cui arrostire non un candidato al Colle bensì un premier.

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