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Affari e scalate, la lobby di Siena che tiene i fili di Monte dei Paschi

Da Bindi a Berlinguer, da D'Alema a Bassanini, dietro l'ascesa e il declino di Mussari la regia dei leader democratici. Così la banca in crisi diventa un boomerang sul voto

Affari e scalate, la lobby di Siena che tiene i fili di Monte dei Paschi

Roma «Altro che le Cayman, Bersani e D'Alema pensino al Montepaschi: in sei mesi si è distrutto quel che i senesi avevano costruito in 600 anni», diceva Matteo Renzi tre mesi fa, al culmine della campagna per le primarie Pd.
Di lì a poco, il segnale di rivolta della città del Palio, del Monte e del torbido lungo incesto tra partito e banca arrivò forte e chiaro al Nazareno: 22mila e 900 preferenze, oltre il 54%, al giovane sindaco di Firenze (in barba ad ogni storica rivalità secolare, da Montaperti in poi); solo 15mila 184, il 36%, al segretario Pd. Stessi numeri nella vicina Sinalunga, patria di quella Rosy Bindi che sosteneva pancia a terra Bersani contro Renzi, e che col Mps ha avuto anche lei le sue brave frequentazioni (tanto da aver assistito all'ultimo Palio, raccontano i senesi, dalle finestre della Fondazione, e da essere accreditata come sponsor del presidente Profumo, la cui consorte Sabina Ratti è supporter bindiana).
Il monito renziano risuona oggi come un presagio funesto nelle orecchie di quel Pd nazionale che, ad un mese dal voto, assiste spaventato all'esplosione nucleare dello scandalo derivati che travolge il Monte e il suo ex presidente Mussari. «Non c'è nessuna responsabilità del Pd, per l'amor di Dio», si schermisce - invocando la Provvidenza - Bersani, ma il candidato premier del centrosinistra sa bene che ora i suoi avversari utilizzeranno comunque il tracollo Mps come un'arma elettorale contro di lui. E deviare il fuoco non sarà facile.

Perché le connessioni tra Pd (nella sua versione ex Pci, certo, ma anche in quella ex Dc) e la banca di Siena sono tante e ramificate, e a ripercorrerne la storia recente saltano fuori nomi illustri del gotha di centrosinistra. Con ruoli diversi e a volte contrapposti, nelle operazioni politico-finanziarie che hanno costellato l'ultimo decennio. Perché ad esempio, nel 2001, la nomina dell'avvocato calabrese Mussari, forte di una lunga militanza nel Pci-Pds-Ds, alla presidenza della Fondazione Mps fu sponsorizzata da un quadrilatero di ferro formato a Siena dal potente Magnifico Rettore Luigi Berlinguer (oggi capo dei probiviri Pd, ironia della sorte) e dal parlamentare eletto in città Franco Bassanini, e a Roma da Massimo D'Alema e Giuliano Amato. Artefice della scalata, il segretario dei Ds senesi (nonché testimone di nozze di Mussari) Franco Ceccuzzi, successivamente diventato parlamentare Pd e poi sindaco della città. Si dimise la scorsa primavera, in seguito alla guerra fratricida scoppiata tra ex Pci ed ex Dc del Pd attorno al controllo del potere dentro Mps, oggi è di nuovo candidato.

Il quadrilatero mussariano del 2001 si ruppe fragorosamente negli anni successivi, durante l'operazione Unipol, come raccontò lo stesso Bassanini in una intervista a Panorama: «Consorte e D'Alema fecero un pressing su Siena perché si alleasse con Unipol (nella scalata a Bnl, ndr). Chi difese l'autonomia di Mps, come me e Amato, venne emarginato». Tanto che, nella versione di Bassanini, sull'altare dello scontro bancario Amato ci rimise nientemeno che il Colle, nel 2006. Nel 2007, all'epoca della acquisizione di Antonveneta (e della voragine che aprì nei conti Mps), l'ex dalemiano Mussari veniva dato in avvicinamento a Walter Veltroni, allora leader del Pd e futuro candidato premier. Dell'operazione si disse che costituiva la rivincita dell'asse Veltroni-Prodi contro quello D'Alema-Fassino.

Quanto al «proboviro» Luigi Berlinguer, ha più recentemente avuto al soddisfazione di vedere il figliolo Aldo (già brillante laureato dell'Università paterna, poi brillantissimo membro del Cda dell'aeroporto di Siena) è stato brillantemente promosso al Cda di Antonveneta.

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