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Affitti in nero, tutto da rifare. I giudici bocciano le "spie"

Dichiarata illegittima la norma che consentiva agli inquilini di avere sconti in cambio di delazione su contratti fuorilegge

Affitti in nero, tutto da rifare. I giudici bocciano le "spie"

L'esercito degli inquilini, in guerra contro le falangi dei padroni di casa senza scrupoli, si era trasformato in un'armata di «spie». «Delatori», per usare un termine più eleganti. E per un po' - gli inquilini - ci avevano pure «marciato». La legge era dalla loro parte. E li spingeva - a fin di bene (il proprio, s'intende) - a denunciare i contratti in nero proposti da quei furbetti dei proprietario degli appartamenti.

Locatari (in nero) vs locatori (in nero). Davide contro Golia. Dove «Davide» assumeva spesso i connotati deboli di categorie tradizionalmente a rischio sfruttamento come studenti, stranieri e via discriminando; tutta gente che però, in cambio di un affitto dal canone inferiore (ma non registrato), accettavano di alloggiare sotto il tetto dell'illegalità.

Poi cambiarono le regole e bastò «segnalare» a chi di dovere i magheggi del «Golia» di turno, ed ecco che per «Davide» scattavano benedici sotto forma di contratti a canone calmierato. Troppo bello per essere vero. O comunque per durare a lungo. La Corte costituzionale ha infatti dichiarato illegittima la norma sulla determinazione dei canoni di locazione - che prevedeva vantaggi per gli inquilini che segnalavano contratti di affitto in nero - contenuta nel decreto del 2011 sul federalismo fiscale.

La Consulta, in concreto, ha cancellato gli «sconti» previsti per gli affittuari che denunciavano contratti in nero e permettevano agli inquilini di registrare di propria iniziativa il contratto d'affitto presso un qualsiasi ufficio delle Entrate. I giudici costituzionali hanno però bocciato tale procedura per «eccesso di delega», annullando anche i contratti già registrati. Tradotto: ora torna il caos. La sentenza, la n. 50, è stata depositata ieri. Confedilizia esulta, gli inquilini protestano.

Le norme censurate dalla Corte sono contenute nel decreto legislativo n.23 del 14 marzo 2011, che prevedeva disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale. Nel dettaglio, diversi tribunali - Salerno, Palermo, Firenze, Genova, Roma sezione staccata di Ostia - hanno impugnato i commi 8 e 9 dell'art. 3, che contiene le misure sulla cedolare secca sugli affitti. Il comma 8 stabilisce, in particolare, che i contratti di locazione delle case che «ricorrendone i presupposti, non sono stati registrati entro il termine stabilito», hanno una durata di 4 anni e il canone annuo è fissato nel triplo della rendita catastale più l'adeguamento Istat dal secondo anno.
Il comma 9 stabilisce poi che queste stesse disposizioni si applicano anche nei casi in cui nel contratto di locazione registrato sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo e sia stato registrato un contratto di comodato fittizio.

«Emerge con evidenza - si legge nella sentenza - che la disciplina oggetto di censura, sotto numerosi profili “rivoluzionaria“ sul piano del sistema civilistico vigente, si presenti del tutto priva di “copertura“ da parte della legge di delegazione». Non capiamo, ma ci adeguiamo.

E alziamo le mani anche dinanzi al passaggio successivo, in cui si «spiega» (si fa per dire...) che «il tema della lotta all'evasione fiscale non può essere configurato anche come criterio per l'esercizio della delega: il quale, per definizione, deve indicare lo specifico oggetto sul quale interviene il legislatore delegato, entro i previsti limiti». Ma qui - scusate - siamo al puro delirio giuridichese, nella sua forma più incomprensibile. Insomma, roba da azzeccacarbugli. Da mandare, gentilmente, a quel paese. Dove speriamo trovino una casa in affitto.


Possibilmente non in nero.

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