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Aria di fronda democratica: Pier Luigi rischia di sbattere

Aria di fronda democratica: Pier Luigi rischia di sbattere

L'unica cosa chiara, al momento, è che oggi non succederà nulla. A Montecitorio come a Palazzo Madama sarà l'ennesima giornata di melina, con il Pd a votare scheda bianca (per evitare di spaccarsi). «Non vogliamo fare da soli se non costretti, e quindi ci proveremo fino in fondo», dice Bersani ai suoi.
Ieri sera il Movimento 5 stelle ha cortesemente mandato a quel paese il Pd di Bersani, che chiedeva l'ultimo incontro sulle presidenze delle Camere: «Ormai è tardi». Nel frattempo, dal suo blog, Beppe Grillo ha lanciato via blog il suo ennesimo gavettone sulla testa di Bersani: «È meglio un salto nel buio che un suicidio intellettualmente assistito», laddove nell'arcano linguaggio grillesco si intende per «suicidio» il cedimento alle «sirene» del Pd e degli «intellettuali di Repubblica».
Il tentativo seduttivo del segretario Pd sembra ormai agli sgoccioli, con rischiose conseguenze anche sulle speranze di ottenere da Napolitano quell'incarico pieno che Bersani auspicava. E nel Partito democratico le divisioni, ancora tenute sotto traccia vista la gravità del momento, stanno raggiungendo il livello di guardia. Ieri si sono susseguiti riunioni e incontri di corrente, e da ogni conciliabolo sono trapelati accenti critici, quando non apertamente accusatori contro la «linea suicida» (la definizione è di un dirigente ex Margherita) perseguita dallo stato maggiore del partito, la «triade autistica» (la definizione è di un esponente ex Ds) formata da Bersani, Migliavacca e Errani.
Critiche aperte e irritate nell'assemblea dei renziani, alcuni dei quali proponevano di ribellarsi e di votare «un nostro candidato autorevole» per le due presidenze, senza aspettare gli ordini del Nazareno. Renzi però ha messo con decisione la briglia ai suoi: «Faremo un leale gioco di squadra, senza boicottare il segretario, che vuole perseguire la sua linea e sta facendo le sue trattative. A noi non resta che aspettare e vedere cosa ne tirerà fuori». Niente, è convinto Renzi (e molti altri con lui), ma starà a lui gettare la spugna. «Non si gioca con le istituzioni», si lascia scappare Del Rio, a chi gli chiede delle offerte di presidenze a M5S. «Noi stiamo alla larga dalle trattative», conferma Gentiloni.
A sinistra, i Giovani Turchi sono anche loro battaglieri, e dalla loro riunione esce la linea: «Votare il candidato di Grillo al Senato, e tenerci la Camera». Con un «ma»: «Il candidato non può essere del vecchio gruppo dirigente», quindi niente Franceschini. Cosa che ovviamente fa inferocire i franceschiniani, già esasperati dai tira e molla del segretario: «Ma vi pare serio offrire la seconda o la terza carica dello Stato al primo grillino che passa e che non ci ha neanche mai messo piede, o pensare a un'alleanza con un partito il cui primo gesto politico sarà la marcia anti-Tav in Val di Susa?», si sfoga un deputato molto vicino all'aspirante presidente della Camera. I cui uffici avevano richiesto già la settimana scorsa i discorsi di insediamento dei precedenti presidenti, probabilmente per prepararsi a un appuntamento che sembrava scontato, e che ieri era di nuovo in alto mare. Ma la vera partita, in «questa legislatura nata morta», è il Quirinale, spiega il veltroniano Giorgio Tonini, e «se diamo la Camera al Pdl e il Senato a Grillo, con i voti di Monti possiamo eleggere uno di noi: Prodi, o Amato». Sulla stessa linea un dirigente dalemiano, che sussurra: «Ma potete scommettere che non sarà Prodi.

Mai».

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