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Atenei, scappano in 60mila. Era ora: meglio pochi e buoni

Troppi giovani iscritti solo perché non sanno che fare. Atenei moltiplicati per alimentare clientele pubbliche e private, corsi a dismisura per dare una cattedra ai professori

Atenei, scappano in 60mila. Era ora: meglio pochi e buoni

Cala il numero degli iscritti all'università. Finalmente. Forse avete già sentito i pianti di un sacco di gente, di politici, professori, studenti che dicono no, questa è tutt'altro che una buona notizia. L'hanno chiamato allarme, emergenza, paura, disastro. È lo strabismo dell'educazione, la depravazione dell'egualitarismo, è il pianto dei fanatici dell'università per tutti e l'università a tutti: quasi 60mila iscritti in meno negli ultimi anni possono voler dire un mucchio di cose. Una di queste è quella che tutti coloro i quali piangono non vogliono vedere: l'anomalia dell'università italiana era (ed è ancora) il sovrannumero degli studenti. Troppi giovani iscritti solo perché non sanno che fare. Gli atenei-parcheggio, abbiamo imparato a chiamarli. Posti nei quali passare quattro, cinque, a volte dieci anni senza magari arrivare neppure alla laurea. Lo dice un dato elementare: le iscrizioni calano, ma i ragazzi che arrivano alla fine in tempo aumentano. Nel 2001 erano il 10%, oggi sono il 39%. Niente niente che a rinunciare a iscriversi siano quelli che non sono motivati?
Il diritto allo studio è una cosa meravigliosa, ma è quanto di più demagogico ci sia. L'università per tutti è un ossimoro. Non esiste in alcun Paese civile. Perché dovrebbe esserci da noi? Soprattutto: perché c'è stata? Abbiamo moltiplicato gli atenei perché diventavano l'ennesimo luogo per alimentare le clientele pubbliche e private, abbiamo aumentato a dismisura i corsi cosicché si aumentassero anche i posti per i professori.

Il risultato è stato l'impoverimento della preparazione di docenti e studenti. Ci sono eccellenze che faticano a imporsi, e sapete perché? Perché ci sono troppe università. Che senso ha avere un ateneo in ogni provincia? Serve solo a disincentivare i migliori a scegliere le università migliori e, quindi, alla lunga, a sminuire il valore dell'intera università italiana. È esattamente quello che è successo. L'egualitarismo ha distrutto la qualità. Ora che hanno tagliato centinaia di corsi inutili, cala anche il numero degli studenti inutili.
Prenderanno questi numeri per dire che è la sconfitta dell'Italia: è il contrario. Un Paese perde di più se ingolfa le proprie università di gente che non sa che cosa fare e quindi fa finta di studiare. Il resto viene dopo: chiedete a un laureato che finisce a lavorare in un call center se si ricorda delle centinaia di amici e conoscenti che vedeva di sfuggita in ateneo a far nulla. Poi chiedetegli se è felice o no che le università si svuotino di scansafatiche.

Questi dati non sono preoccupanti, no. Sono confortanti. Ci spingono più vicini agli altri Paesi civili. Così come il fatto che alcune facoltà perdono più di altre. Per esempio: Lettere e Filosofia ha avuto un'emorragia di 25mila studenti. È il mercato: se offri meno sbocchi professionali sei meno appetibile. Finalmente. Invece no: anche qui un sacco di allarmi. I numeri che ci devono spaventare sono altri: le lauree che sono sempre troppo poche rispetto agli iscritti (nonostante il calo), la scarsa considerazione che la nostra istruzione universitaria ha nel mondo. Ecco, per migliorare ci sono molte strade e una è pregare che continui quello per cui tutti piangono: il calo degli iscritti. A non andare all'università saranno quelli meno motivati. Così chiuderanno altri corsi inutili, così andranno a casa molti professori inutili. E l'università sarà per chi la vuole davvero, chi la merita davvero, chi la sopporta davvero.

L'evoluzione della specie, l'evoluzione dello studio, l'evoluzione della società, l'evoluzione di un Paese.

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