Politica

Autogol di Bersani sui banchieri rossi

Il leader replica a Monti e chiede "finanzieri fuori dai partiti". Ma scorda le tessere Pd di Bazoli, Profumo e Mussari

Il candidato premier del centrosinistra, Pier Luigi Bersani
Il candidato premier del centrosinistra, Pier Luigi Bersani

Roma Tre punti in meno: nei sondaggi in mano al Pd l'effetto Montepaschi è stato misurato, e il risultato è allarmante.
E questo spiega anche il nuovo piglio aggressivo che Pier Luigi Bersani sta adottando, e la faccia feroce che ha messo su contro chi cerca di tirare il suo partito dentro lo scandalo. Se la prende con la «stampa di destra», annunciando di aver «già chiamato gli avvocati» per far partire querele,ma è chiaro che nel mirino ha anche Grillo, Ingroia e tutti quelli che amplificano il pasticciaccio senese per rubargli voti: «Se pensano di fare i picchiatori contro le mammolette troveranno pane per i loro denti», avverte, perché «a nessuno sarà concesso di infangare impunemente il buon nome del Pd».

Per un po' di giorni il Pd è sembrato annaspare sotto i colpi degli avversari, mentre nell'opinione pubblica passava il messaggio che ad essere finita nei guai era «la banca del Pd». Ai suoi, preoccupati per la gragnuola di accuse, sospetti e iniziative giudiziarie che lambiscono il Pd e che al Nazareno (riecheggiando Berlusconi) vengono definite «ad orologeria», e sembrano «fatte apposta per tagliarci le gambe in campagna elettorale», Bersani ha assicurato che d'ora in poi occorre reagire a muso duro, e che «se qualcuno dei nostri ha sbagliato deve pagare» e se c'è stata nel Pd, a Siena o in Lombardia o anche a Roma, qualche «mela marcia» - per dirla alla Balotelli - va eliminata. Con il rischio di qualche cortocircuito spiazzante, visto che ad esempio il «collegio dei garanti» del Pd che dovrebbe valutare l'espulsione di Mussari dall'albo degli iscritti al partito è presieduto da quel Luigi Berlinguer che fa parte della «cupola» che a Siena ha fatto per anni il bello e cattivo tempo. Ma la linea dettata dal segretario è chiara: «L'attuale vertice del Pd, quello confermato dalle primarie, non ha mai toccato palla nel mondo che ruota attorno a Mps, e dunque non ha alcun timore di quello che può venire fuori dall'inchiesta», spiega un dirigente vicino a Bersani. Lasciando intendere che, se per caso qualche «connivenza» politica c'è stata, da parte di qualcuno, quel qualcuno verrà scaricato senza pietà: «A questo punto noi dobbiamo andare all'attacco e dimostrare di non aver nessuna paura e nessun interesse da difendere».

A conferma di questa linea dura si cita il fatto che Bersani non abbia esitato neppure un secondo a sconfessare platealmente il vicecapogruppo Pd al Senato Luigi Zanda, che durante l'audizione di Grilli in commissione Bilancio aveva osato dirsi contrario alla commissione di inchiesta su Mps chiesta dal Pdl. Si racconta che, da Trieste dove si trovava per comizi, il segretario abbia telefonato su tutte le furie, perché Zanda («Per conto della lobby Abi», spiegano i compagni di partito) aveva tradito la linea del partito. «Noi siamo pronti ad una verifica parlamentare sulla vicenda derivati», ha poi dettato alle agenzie. E ieri il Pd ha fatto trapelare di essere già al lavoro sulla proposta di legge per istituire un organismo parlamentare che indaghi sugli intrecci bancari e finanziari. «Dobbiamo far vedere che non abbiamo alcuna paura». E restituire colpo su colpo agli avversari, intenti ad usare lo scandalo Mps per colpire il Pd. «Per il bene di tutti dobbiamo tenere i partiti lontani dalle banche», ha infierito ieri Monti, evocando quegli «intrecci» tra banche, assicurazioni e politica che (da Bazoli e Profumo in fila alle primarie al caso Unipol fino a Mussari iscritto Pd) costellano la recente storia della sinistra. Piccata la risposta di Bersani: «Monti ha detto via i partiti dalle banche? Sono d'accordo dieci volte. Io aggiungo via i banchieri dai partiti.

Così siamo a posto».

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