Politica

Bersani azzoppato dai suoi In 97 gli votano contro

Palazzo Chigi si allontana. Il leader propone come capogruppo del Pd alla Camera un fedelissimo. Ma non fa i conti con i franchi tiratori. Renzi vola nel sondaggio choc

Pier Luigi Bersani discute degli 8 punti del programma Pd
Pier Luigi Bersani discute degli 8 punti del programma Pd

«Un segnale brutto, molto brutto», si lascia scappare il bersaniano Emanuele Fiano appena gli comunicano al telefono che il capogruppo designato da Bersani, Roberto Speranza, ha incassato a scrutinio segreto 97 dissensi sui 297 deputati Pd. Un terzo di loro ha votato scheda bianca, o ha messo sulla scheda un altro nome, o non si è presentato proprio.
Un brutto segnale per il segretario del Pd, proprio alla vigilia delle consultazioni per l'incarico di governo. E nella stessa giornata in cui, proprio dal Nazareno, trapelano i risultati di un sondaggio clamoroso commissionato dal Pd a Swg e rivelato ieri dal Messaggero: in alleanza con Sel e Monti, Bersani raccoglie il 29% dei voti. Matteo Renzi, senza Sel, il 44%. Con Grillo al 40% nel primo caso e al 30% nel secondo; e con il Pdl al 26% con Bersani e letteralmente spolpato (19%) con Renzi. Una botta micidiale. E per quanto sia diffusa ormai la sfiducia nei sondaggi, e i bersaniani si siano subito affrettati a sminuire la faccenda, lo scenario prefigurato rischia di ribaltare più in fretta del previsto gli equilibri interni al partito.
Un primo segnale è arrivato ieri, con l'ondata di franchi tiratori contro il candidato di Bersani. «Ora - ironizza un parlamentare Pd - Napolitano potrà dirgli che non ha la maggioranza al Senato, ma neanche alla Camera. E quindi niente incarico». Una battuta, naturalmente, ma anche la fotografia di una realtà che dà vistosi segni di poter sfuggire al controllo del candidato premier. Che ieri, dopo un'altra notte di trattative, aveva tirato fuori i nomi della coppia di candidati alla funzione cruciale di capigruppo: Luigi Zanda al Senato e Roberto Speranza alla Camera. Zanda aveva dalla sua due carte: l'esperienza necessaria a gestire un Senato così in bilico, essendo stato per due legislature il vice della Finocchiaro; e l'appartenenza alla corrente di Dario Franceschini che andava risarcita. Aprendo la strada, nel Cencelli interno, ad un ex Ds a Montecitorio. Bersani ha proposto il nome di un suo fedelissimo (Speranza, segretario regionale della Basilicata, è stato a capo della sua campagna per le primarie), che essendo giovanissimo e alla prima legislatura poteva chiudere la bocca a chi, dentro il gruppo, reclamava a gran voce il «rinnovamento». Sbarrando così la strada al candidato dei «giovani Turchi» Andrea Orlando, navigatore assai più esperto nei meandri parlamentari ma sospettato di potenziali intese col nemico Renzi.
Al Senato la nomina di Zanda, che si era premunito raccogliendo le firme di 80 senatori su 120 a suo sostegno, è filata via liscia a fine mattinata, per acclamazione. Bersani ha tentato di seguire la stessa via nel pomeriggio alla Camera, nonostante lo statuto dei gruppi Pd preveda il voto segreto: «Per non perdere ore a votare, vi proporrei di acclamare anche qui il nuovo capogruppo, se non ci sono obiezioni». Ma l'obiezione è arrivata, per bocca del cattolico Luigi Bobba, che ha richiamato lo statuto e chiesto il voto segreto. Per conto del segretario si è inalberato Guglielmo Epifani, appellandosi al «precedente» di Palazzo Madama, ma Bobba lo ha rimbeccato: «Zanda aveva già le firme della maggioranza del gruppo, Speranza invece non ne ha presentate». A quel punto si son dovute accettare le forche caudine del voto segreto, ed è stato subito chiaro che questo avrebbe dato sfogo ai tanti malumori interni (dai franceschiniani ai «turchi», passando per qualche renziano). «Bisogna vedere quanti saranno - ragionava durante il voto Peppe Fioroni - un conto sono 15 schede bianche, ma se i dissensi sono di più è un segnale politico».

Sono stati una valanga.

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