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Bersani è al capolinea: salta il patto coi grillini e il Pd rincorre il centro

Il segretario democratico subisce l'ennesimo "niet" e tratta già con Monti e i centristi Il suo governo resta un miraggio, partito nel caos. Solo fumate nere sull'elezione dei presidenti delle Camere. Senato, spunta l'ipotesi Casini

Bersani è al capolinea: salta il patto coi grillini e il Pd rincorre il centro

La faccia tirata di Pier Luigi Bersani, a Montecitorio, la diceva lunga sull'impasse pressoché totale nel quale il segretario del Pd si è ritrovato ieri. Con il suo schema di gioco, quello del dialogo con il Movimento Cinque Stelle sulle presidenze delle Camere, definitivamente sepolto dall'ennesimo niet dei grillini («Votate pure il nostro candidato, ma in cambio non avrete mai la fiducia»), e senza una strategia di ricambio.

Con il Pd che era tutto un ribollire di scenari e organigrammi uno diverso dall'altro, e nel quale uno ad uno i principali esponenti del gruppo dirigente che formava la maggioranza bersaniana che ora sembrano pronti a cambiare cavallo, appena un cavallo si presenterà, o ad imbarcarsi sulla prima zattera di passaggio, che si tratti di elezioni anticipate (con Renzi candidato) o di governi di salvezza nazionale con i voti del Pdl. Mentre i più avvertiti ammettono con preoccupazione che «di qui ai prossimi mesi il Pd può arrivare all'implosione finale». L'ammissione che la partita coi grillini era chiusa, Bersani se la è strappata dalle labbra durante la prima chiama dei deputati, quando ha ammesso che sulle presidenze di Camera e Senato si era «aperta la trattativa con i montiani». Fino all'ultimo si è tentato di convincerli, arrivando a proporgli di votare l'ex procuratore Antimafia Grasso al Senato in cambio dell'elezione del loro candidato Roberto Fico alla Camera: senza esito.

Ma anche su fronte montiano la trattativa si è rapidamente incartata, davanti all'irremovibilità proprio di Mario Monti: o me a Palazzo Madama, o nessuno. Sia Bersani che Franceschini che altri esponenti del Pd hanno provato a smuovere il premier tuttora in carica, per convincerlo a dare via libera sul nome di un altro dei suoi, a ieri sera senza successo nonostante il convergente pressing di Napolitano, allarmato per il vuoto che si creerebbe alla guida del governo. Ieri sera i bersaniani facevano trapelare che al Senato voteranno Anna Finocchiaro (che potrebbe diventare la candidata «istituzionale» a guidare il governo post Monti), lasciando a Scelta civica l'onere di fare un nome per la Camera. Altrimenti, è la minaccia, a Montecitorio il Pd farà da solo (già alla prima votazione, alle 11, ha i numeri per farlo) votando Dario Franceschini. E si affaccia anche l'ipotesi di una candidatura Casini al Senato.

L'accoppiata Finocchiaro-Franceschini rischia di creare fratture dentro il Pd, dove i cosiddetti «giovani Turchi» sono sul piede di guerra da ieri: «Niente da dire ovviamente su Dario e Anna, sono due autorevolissimi candidati, ma c'è un problema di opportunità politica», spiegava Andrea Orlando, «in questa temperie politica, e con il rischio di elezioni alle porte, non possiamo riproporre due nomi che sanno di vecchio apparato. Altrimenti regaliamo un'altra valanga di voti a Grillo». Dal nome dei presidenti, peraltro, dipende anche la scelta di altri posti chiave che dovranno essere distribuiti nei prossimi giorni, a cominciare dai capigruppo: per la Camera si parla di Enrico Letta, ma è in pista anche Orlando e lo stesso Franceschini, se non sarà eletto oggi. Al Senato del bersaniano doc Migliavacca. Mentre Matteo Renzi si tiene fuori dai giochi, dà mandato ai suoi di seguire le indicazioni di maggioranza, e aspetta che si consumi l'ultimo giro di giostra per Bersani.

Sullo sfondo, resta il ruolo cruciale del Colle. Che, assicurano dal Pd, «non ha intenzione di dare alcun incarico al buio, senza una maggioranza certificata».

Il che seppellirebbe ogni speranza di un incarico al segretario Pd.

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