Politica

Bersani "inquinato" dai veleni dell'Ilva: tegola sulle primarie

Il segretario del Pd è stato tirato in ballo per i soldi ricevuti nel 2006 dalla famiglia proprietaria dell'acciaieria: 98mila euro di finanziamento elettorale legittimo ma sospetto

Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani
Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani

Roma - Sulle primarie del centrosinistra soffia il vento mefitico dell'Ilva. A rischiare l'intossicazione è Pier Luigi Bersani, già in affanno nel resistere alla rimonta di Matteo Renzi. Il segretario del Pd è stato tirato in ballo nel pasticciaccio del polo siderurgico di Taranto per i soldi ricevuti nel 2006 dalla famiglia Riva, proprietaria dell'acciaieria sullo Jonio: 98mila euro di finanziamento elettorale legittimo ma vagamente sospetto e che ora qualcuno invita il segretario Pd a restituire; e per una lettera del patron Emilio Riva il 30 settembre 2010 indirizzata a Bersani per chiedere di frenare lo zelo del deputato Pd Roberto della Seta nel mettere i bastoni tra le ruote al decreto che avrebbe prorogato i termini perché l'Ilva si mettesse in regola con le emissioni di benzo(a)pirene.
Circostanze che non hanno alcuna rilevanza penale ma che imbarazzano il leader del Pd a pochi giorni dall'appuntamento che potrebbe (e di norma dovrebbe) consacrarlo potenziale premier. E infatti nell'entourage di Bersani si borbotta a mezza bocca di giustizia a orologeria, ritornello che quando era in bocca di Silvio Berlusconi la sinistra sbeffeggiava.
E sì che Bersani guardava alla Puglia di Nichi Vendola e ai 485mila voti strappati dal governatore con l'orecchino al primo turno delle primarie per blindare la sua leadership nello spareggio con Renzi. Il segretario infatti aveva lanciato senza troppo clamore un'Opa sui consensi del Sel, anche grazie al patto elettorale stretto tra i due leader, laddove il sindaco di Firenze viene rozzamente collocato all'ala destra del Pd, talmente a destra da essere sospettato di berlusconismo, ciò che nel centrosinistra di palazzo (ma come visto non in quello che riempie i gazebo) equivale a una fatwa. Ora però questa operazione di mercato elettorale rischia di diventare una polpetta avvelenata per Bersani. Vendola infatti, pur non essendo (ancora) indagato nella vicenda Ilva, non esce bene dall'inchiesta della procura tarantina: nell'ordinanza con cui lunedì scorso i gip Patrizia Todisco e Vilma Gilli hanno disposto sette custodie cautelari si tratteggia uno scenario in cui Vendola figura come il vertice di un sistema politico complice nel fare pressioni sull'Arpa, l'agenzia regionale per l'ambiente, perché allentasse la morsa sull'Ilva. Un ruolo che Vendola insiste nel negare: «Non ho mai esercitato pressioni di alcun genere. Per me, anzi, è stato importante battermi perché l'Arpa diventasse un organismo famoso per la propria indipendenza».
Certo è che la vicenda Ilva a questo punto diventa la carta più importante nella partita di domenica. E c'è da scommettere che Bersani non accetterà l'invito di due esponenti livornesi del Pd, il renziano Yari De Filicaia e il bersaniano Mauro Grassi perché «Bersani e Renzi chiudano insieme le primarie davanti all'Ilva di Taranto». Un appuntamento che non si rivelerebbe certo felice per Bersani, che come politico foraggiato dai Riva e come ex ministro delle Attività produttive c'è da giurare non sarebbe accolto molto bene dai lavoratori che rischiano il posto. C'è da notare sulla vicenda il fair play di Renzi: «Non mi permetterei di accomunare una persona seria come Bersani a questa vicenda.

A me l'hanno fatto e ci ho sofferto troppo», dice il sindaco rottamatore, che poi fa il furbetto: «A quel privato - fa notare Renzi a Porta a porta - si è concesso troppo in nome dell'amicizia con politici di vario genere, soprattutto di Forza Italia». Messaggio in codice: lo vedete che non sono un berlusconiano camuffato?

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