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Bersani stronca Renzi ma lui non si ferma più Il giorno decisivo del Pd

Visita in ospedale dall'ex leader che boccia l'intesa con Berlusconi. Oggi la direzione: il segretario si gioca tutto contro i "vecchi"

Bersani stronca Renzi ma lui non si ferma più Il giorno decisivo del Pd

Roma - Bersani, fino a pochi giorni fa in terapia intensiva, l'han preparato per gradi e c'è voluto il volto amico di Romano Prodi per vuotare il sacco. Sì, Berlusconi e Renzi se l'intendono, si son visti al Nazareno, profonda sintonia... Pier Luigi sembrava averla presa bene. Anzi, «l'ho trovato benissimo», raccontava Prodi lasciando l'ospedale all'ora del desinare. «Abbiamo parlato di tutto... anche dell'impero romano, ha più memoria di me, è perfettamente in forma». Qualche sussulto non preoccupante, pare, solo al nome dell'«Ispanico».
Poi, a metà pomeriggio, all'ospedale Maggiore di Parma è giunto Matteo Renzi. Ed è stata un'oretta vissuta intensamente (e pericolosamente): il sindaco ce l'ha messa tutta per essere rispettoso e mellifluo come si conviene in una stanza d'ospedale, ma non è riuscito a sedare l'ex segretario, furibondo in barba a prognosi e malanni. «Portare Berlusconi al Nazareno! Una cassata gigantesca! Ragassi, che errore... A fare il capo son tutti bravi, però non si può far tutto di testa propria... bisogna tener conto degli altri, delle sensibilità diverse», si sarebbe sfogato Bersani, critico anche nel dettaglio del sistema elettorale illustrato dal sindaco. «E comunque - ha concluso con amarezza - così hai riaperto una pagina che dopo vent'anni s'era finalmente riusciti a chiudere. Buon lavoro». Questo per riferire il riferibile. Tanto che Renzi, assai contrariato, è andato via dall'uscita di servizio rinunciando, per una volta, alla passerella con gli amici giornalisti.
Un segno, si può ben dire, dell'atmosfera che accoglierà Matteo alla Direzione di oggi pomeriggio, quando il leader presenterà il modello elettorale «Ispanico» (o «ispanico tedesco», altresì «ispanico alla fiorentina»). Ma «Ispanico» è anche il soprannome del Gladiatore nel celebre film di Ridley Scott. E se Scalfari ha voluto identificarlo in Berlusconi, Renzi in queste ore propende piuttosto per se stesso. Tale si sente nell'arena del Pd: solo contro tutto e tutti. D'altronde il silenzio dei «rottamati» del partito è assordante. I Cuperlo o Fassina-Chi vengono agilmente rintuzzati dai fedelissimi del segretario. «Hiroo Onida morto di recente non era l'ultimo giapponese a essere rimasto nella foresta. C'è rimasto Stefano Fassina», scriveva su Twitter il senatore Andrea Marcucci. «Consultare la base? Lo abbiamo già fatto con le primarie», tagliava corto Simona Bonafè. «Renzi doveva incontrare Dudù? Il Cav esiste perché dieci milioni lo votano», notava Paolo Gentiloni.
Il sindaco, passeggiando sulle macerie piddine, aveva invece affidato il proprio sentiment a Facebook: «Dopo 20 anni di chiacchiere, in un mese abbiamo il primo obbiettivo a portata di mano. L'accordo, trasparente e alla luce del sole, è molto semplice. Si fa una legge elettorale per cui chi vince governa stabilmente senza il diritto di ricatto dei partitini: suggerisco a chi critica la legge di aspettare almeno di sapere com'è fatta, io la presento domani (oggi, ndr) alle 16». Metodo assai decisionista e poco rispettoso, lamenta la minoranza interna. Se l'esito della Direzione è scontato, sulle rive del fiume cresce a dismisura il numero di coloro che sono seduti.

In attesa che l'ondata passi, e non invano.

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