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La Bindi si smaschera: trama per il Quirinale. Ma i suoi non ci stanno

Rosy Bindi ha confidato ad alcuni amici di voler diventare la prima donna eletta alla presidenza della Repubblica

La Bindi si smaschera: trama per il Quirinale. Ma i suoi non ci stanno

Una cosa è certa: non sarà lo sbarbatello Renzi a pensionare Rosy Bindi e a sbarrarle un futuro che, nei suoi sogni, potrebbe portarla sul Colle più alto. La ex rottamatrice (vent'anni fa cavalcò l'onda di Tangentopoli e finì in prima linea grazie all'eliminazione giudiziaria della nomenklatura Dc) non ci sta a finire rottamata. E così, letti i giornali e smaltita la bile per tutti quei titoli che la davano per sconfitta, Bindi passa al contrattacco e va in tv (chez Annunziata) a spiegare che nessuno ha capito nulla e che la verità sulle regole delle primarie Pd «sono qui io a certificarla».
Col risultato che, a 24 ore dalla chiusura della movimentata assemblea nazionale che ha modificato lo statuto, non si capisce più nulla di come e chi potrà votare alle primarie: Renzi dice una cosa, Bindi l'opposto, Bersani fischietta. Primarie che, ammette la Bindi incalzata da Lucia Annunziata, le altre volte erano pressoché fasulle, mentre stavolta saranno «le prime vere», e questo preoccupa assai gli stati maggiori. La tempra di combattente non le manca, questo è certo. E contro la sola idea di finire in panchina nella prossima legislatura, per colpa del tornado Renzi o di qualche alzata d'ingegno innovatrice del segretario Bersani, Rosy Bindi si batte come un leone. È convinta, e lo fa capire senza inutili false modestie, di avere ancora molto da dare al partito e al Paese, di avere ancora «molto da correre».

Anche se in tv non svela gli obiettivi che in privato ammette: non certo quella «stupidaggine» della vice-premiership, che alcuni schemini spartitori del futuro centrosinistra le attribuivano «pensando di fregarmi». E neppure la presidenza della Camera, né un posto di primo piano da ministro. La Bindi è convinta che, dietro la campagna «rottamatrice» che stavolta, sorprendentemente, mette nel mirino anche lei, ci sia un tentativo - a sfondo misogino - dentro e fuori il suo partito e fino ai giornali che un tempo non lontano la portavano in palmo di mano, per «impedire che finalmente una donna salga al Quirinale», come ha spiegato ad alcuni amici.
Non sarà certo un ragazzino indisciplinato come Renzi, comunque, a fermarla e mandarla in pensione, come il pestifero sindaco di Firenze ripete (tra gli applausi) nel suo tour elettorale. Sulle regole delle primarie Bindi è inflessibile: «Al secondo turno potrà votare solo chi si è iscritto entro il primo, non vorremo certo consentire ad alcune centinaia di migliaia di militanti del Pdl di decidere il ballottaggio?». E pazienza se il Pdl non sarebbe in grado di organizzarne dieci, figurarsi centinaia di migliaia: Bindi farà «eccezione» solo per chi era «malato» (possibilmente grave) e chi era all'estero (ma solo per seri motivi di lavoro o famiglia, si immagina).

Non spiega però come verranno attuati i controlli: con il certificato medico? Il passaporto? Le carte di imbarco? E da chi, dalle Asl o dalle questure? Insomma, la blindatura dei gazebo, con tutta la buona volontà bindiana, si rivelerà complessa. E qualche maligno fa notare dai blog che - in un tempo non lontano - fu proprio la Bindi ad opporsi strenuamente alla medesima regola che adesso caldeggia con la motivazione che «chi può avere paura delle regole?». Risposta: lei, nel 2007.
Quando si candidò nelle primarie di Walter Veltroni, Rosy fece le barricate contro Ds, ex Ppi e lettiani che volevano che, per votare alle primarie, i cittadini dovessero «preiscriversi». Giammai, sarebbe un ostacolo alla partecipazione, disse la candidata Bindi, e la regola fu bocciata. Oggi ha legittimamente cambiato idea. Intanto Bersani annuncia: «La mia campagna partirà dal Cern di Ginevra».

Bisogna chiedere alla Bindi se gli svizzeri potranno - almeno loro - votare.

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