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La bomba kazaka riesplode su Alfano

Documenti taciuti: in mano ai magistrati uno scambio di mail tra i legali della donna. I grillini: "Inefficiente e inadeguata la gestione dell'ordine pubblico"

La bomba kazaka riesplode su Alfano

Roma - «Un blitz a mia insaputa». Sul caso Shalabayeva si difese così il ministro dell'Interno Angelino Alfano, lo scorso 16 luglio. Gli andò bene perché la mozione di sfiducia non passò nonostante i forti mal di pancia del Pd e le molte zone grigie della sua ricostruzione. Caso chiuso? Niente affatto. Il pasticcio kazako rischia di riaprirsi e i grillini tornano a mettere nel mirino il capo del Viminale: «Incapace - accusano i pentastellati che hanno appena depositato un'altra mozione di sfiducia -. L'inefficienza e inadeguatezza dimostrate nella gestione dell'ordine pubblico in occasione della finale di coppa Italia allungano la lista delle sue nefandezze a cui, da ultimo, si aggiunge la riapertura del caso Shalabayeva».
La procura di Perugia, infatti, sta accendendo i riflettori su altri punti oscuri della vicenda che tanto ha imbarazzato e presumibilmente imbarazzerà ancora il ministro: il pasticcio dei passaporti, un verbale lacunoso, uno scambio di mail taciuto. L'affare si (ri)complica.

Riassunto delle puntate precedenti: La notte del 28 maggio 2013 Alma Shalabayeva, moglie dell'imprenditore e dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, viene arrestata a Casal Palocco da agenti della questura di Roma, insieme alla figlia di sei anni. Le forze dell'ordine cercano il marito e agiscono su richiesta delle autorità del Kazakistan. Ablyazov non è in casa e Shalabayeva viene arrestata. L'accusa: il suo passaporto è falso. Nel giro di soli due giorni le donne sono rispedite in Kazakistan e messe agli arresti domiciliari. La vicenda viene alla luce e scoppia il caso. Il 5 luglio una sentenza del tribunale di Roma condanna l'operato della questura di Roma dichiarando che il passaporto della Repubblica Centroafricana di Alma Shalabayeva è valido.
Alfano è nel mirino e, in Parlamento, si difende così: «Non ero stato informato, non era stato informato nessuno del governo, non era stato informato il presidente del Consiglio». Insomma, nessuno sapeva nulla. Quindi Angelino fa rotolare un po' di teste al Viminale: via il suo capo di gabinetto al Viminale, Giuseppe Procaccini; via il responsabile della segreteria del capo del dipartimento di pubblica sicurezza, il prefetto Alessandro Valeri.

A dimostrazione che il passaporto della Shalabayeva fosse valido c'è una lettera dell'ambasciatore della Repubblica Centrafricana a Parigi Emmanuel Bongopassi che riferisce come l'ambasciatore kazako abbia chiesto che i passaporti di Ablyazov e Shalabayeva fossero annullati. Nella relazione di Alfano si dice invece che i documenti erano «palesemente contraffatti».

La mattina del 31 maggio, poi, al Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, c'è l'udienza di convalida del fermo della Shalabayeva, alla presenza dei suoi legali. Alle 5 del pomeriggio la procura dà il «nulla osta» al rimpatrio. Ma i legali accusano: con enfasi abbiamo segnalato che Alma è moglie di un dissidente kazako, che rischiava la persecuzione se rimandata nel suo Paese e che quindi intendeva chiedere asilo all'Italia; ma di tutto ciò non vi è traccia nel verbale di udienza. Alfano, su questo punto, ha detto in Aula: «In nessuna fase i funzionari italiani hanno avuto notizia alcuna sul fatto che Ablyazov fosse un dissidente politico». Chi mente?
Inoltre durante le prime perquisizioni nella villa di Casal Palocco sono state trovate delle mail tra i legali della donna nelle quali era chiaro che la Shalabayeva fosse la compagna di un dissidente kazako.

Insomma, la storia è tutt'altro che chiarita.

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