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Bossi costretto al passo indietro "Ho pianto, ora sarei solo d'intralcio"

Il segretario si dimette: "Chi sbaglia paga, qualunque cognome porti". Il timone passa al triumvirato. Il Senatùr: "Ho pianto, sarei solo d’intralcio". Maroni esce da vincitore dimezzato. Il videoeditoriale di Sallusti: "Non è una bella notizia per il Paese" FOTO: La saga della famiglia Bossi I VIDEO STORICI: "La Lega ce l'ha duro" - Pontida '96 - Il dito medio - La pernacchia - L'ultimo comizio a Pontida - La prima intervista dopo le dimissioni - Il tapiro a Renzo Bossi. IL RETROSCENA: Il Cerchio magico rischia di scomparire

Bossi costretto al passo indietro "Ho pianto, ora sarei solo d'intralcio"

Chi sbaglia paga, dice l’Umberto, qualunque cognome porti. Il cognome è Bossi. Ed è lui a dare le dimissioni, anche se molti militanti avrebbero preferito sparisse un altro con lo stesso cognome. Quello che - secondo l’ex tesoriere Belsito - avrebbe «frequentazioni peggio di Cosentino», che ha portato via carte compromettenti da via Bellerio e, secondo la segretaria intercettata, sarebbe finito in galera se lo stesso Belsito non avesse finanziato la «family».

Piange il telefono a Radio Padania, si sbigottisce il popolo in camicia verde, si addolora l’amico Silvio Berlusconi «colpito al cuore». Un terremoto. Imprevedibile, violento e devastante come tutti i sismi. La Lega è Bossi e Bossi è la Lega, scandivano ancora ieri decine di militanti increduli dove si è consumato il dramma del leader sul quale si ritorce quell’urlo indirizzato non più a Roma. «Lega ladrona». I pm - e gli avversari - avevano già agitato questa bandiera in altre inchieste. Ma questa volta è la moglie del capo e la sua scuola, i figli che noleggiano Porsche e comprano diplomi, la casa di Gemonio ristrutturata, lo stesso Senatùr che avrebbe maneggiato strani assegni e denaro in nero. Uno stillicidio di episodi torbidi distillati dalle carte dei magistrati. Un quadro da basso impero che non raggiunge la sfrontatezza di un Luigi Lusi, l’ex tesoriere che con i soldi della Margherita si è pagato alberghi da sogno e ville di lusso, ma ferisce più in profondità un popolo di militanti duri e puri.

Il Senatùr ha ceduto alla valanga di contestazioni imbarazzanti che ora dopo ora trapelavano. Lo stesso metro usato per Belsito, costretto ad andarsene molto prima che arrivasse non una condanna ma un rinvio a giudizio, vale per il capo. Con le sue dimissioni clamorose e destabilizzanti, Umberto Bossi vorrebbe dire l’opposto. La Lega è diversa. Nel Pd e nell’ex Margherita nessuno si è fatto da parte, mentre in Padania il capo si carica tutti i guai. E lo fa a testa alta. «Ho dato le dimissioni ma non scompaio», dice in una lunga intervista alla Padania. «Se lo scordino. Resto nella Lega, da ultimo sostenitore o da segretario resto sempre a disposizione della causa. Da domani mi chiameranno militante. Anzi no, semplice simpatizzante». Poi in serata davanti alle telecamere di Tgcom24 davanti casa sua a Gemonio, poco prima delle 21 aggiunge, visibilmente commosso e dispiaciuto: «In consiglio mi è venuto da piangere, poi ho smesso perché veniva da piangere a tutti. Nessuno mi ha chiesto di dimettermi, ma ora io sarei solo d’intralcio. Bisogna fare chiarezza sui soldi perché c’erano di mezzo i figli. Maroni un traditore? Non è così».

Ora il partito è in mano ai colonnelli. Al consiglio federale di ieri pomeriggio Bossi si è presentato subito dimissionario. Decisione «irrevocabile» - così si legge nel comunicato finale - così da «poter meglio difendere e tutelare l’immagine del Movimento, e la sua famiglia, in questo delicato frangente».

«Ora faremo pulizia aprendo tutti i cassetti», assicura Roberto Maroni, che sta conquistando il partito ma ieri pomeriggio è stato contestato platealmente da un gruppo di militanti, lanciando volantini con un’immagine del bacio di Giuda. Anche Giancarlo Giorgetti è stato preso a male parole all’uscita da via Bellerio.

Il Senatùr resta comunque al vertice del partito. «Il consiglio federale, all’unanimità, ha chiesto ripetutamente a Bossi di ritirare le dimissioni», recita il comunicato. Sarà il nuovo presidente federale, un ruolo finora secondario, ricoperto da ultimo dal deputato emiliano Angelo Alessandri. Gli toccherà il compito, secondo statuto, di «fare opera di mediazione tra le varie componenti». Il partito sarà preso in mano da un triumvirato indicato dello stesso Bossi, composto dai lombardi Roberto Calderoli e Roberto Maroni e dalla veneta Manuela Dal Lago. Tutto ciò in attesa di un congresso straordinario che lo statuto fissa entro 30 giorni dalle dimissioni, mentre si svolgerà «entro l’autunno». Il posto di Belsito sarà preso dal senatore Stefano Stefani, vicentino come la Dal Lago. Sarà affiancato da Silvana Comaroli, tesoriera del gruppo parlamentare leghista alla Camera, e Roberto Simonetti, che prendono il posto di Piergiorgio Stiffoni (citato nelle intercettazioni) e Roberto Castelli, che viceversa aveva tentato di fare luce sui maneggi finanziari degli ultimi anni. Una società di revisione contabile esterna sarà chiamata a certificare la situazione patrimoniale della Lega, come chiesto da Maroni.

«C’è stata grande commozione quando Bossi ha annunciato le dimissioni», ha raccontato l’ex ministro dell’Interno. «Bossi e Maroni, commossi e determinati, si sono abbracciati alla fine di questa importante giornata», ha riferito Matteo Salvini su Facebook.

È il santino di ieri sera con il sottofondo di Va’ pensiero, trasmesso da Radio Padania al posto delle telefonate affrante dei militanti in gramaglie.

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