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"A Capaci mi salvai ma per lo Stato è come se fossi morto"

Giuseppe Costanza era nell'auto del magistrato: "Nei miei confronti solo indifferenza. E nemmeno l'invito a una commemorazione" 

"A Capaci mi salvai ma per lo Stato è come se fossi morto"

Il 23 maggio del 1992 il giudice Giovanni Falcone, accompagnato dalla moglie Francesca Morvillo, arrivò all'aeroporto di Punta Raisi a Palermo dopo essere partito da Roma-Ciampino con un volo che durò cinquantatré minuti. Appena sceso dall'aereo, Falcone chiese a Giuseppe Costanza, uno degli agenti della scorta, di mettersi lui alla guida della Fiat Croma bianca blindata. Quella richiesta inusuale salvò la vita a Giuseppe Costanza. La moglie di Falcone, il magistrato Francesca Morvillo, si sedette davanti al fianco del marito; mentre Giuseppe Costanza occupò il sedile posteriore. Lasciato l'aeroporto di Punta Raisi le tre macchine, una davanti e una a seguire l'auto di Falcone, imboccarono l'autostrada A29 in direzione Palermo. Alle diciassette e cinquantasette e trentadue secondi i sismografi dell'Osservatorio geofisico del Monte Cammarata in provincia di Agrigento registrarono una fortissima esplosione. Fu quello il momento in cui le auto furono fatte saltare in aria con 572 chili di tritolo posti all'interno di fustini sistemati in un cunicolo di drenaggio dell'acqua sotto l'autostrada appena prima dello svincolo per Capaci in direzione Palermo. La macchina del giudice Falcone e della moglie andò a schiantarsi contro un muro sollevato dall'esplosione ecformato dai detriti dell'autostrada.

Giuseppe Costanza era seduto dietro al giudice Falcone e si salvò. La volontà di guidare la macchina da parte di Falcone e il sedersi dietro la Fiat Croma di Costanza determinò il limite tra la vita e la morte. Immediatamente dopo il tragico attentato Costanza cercò di soccorrere, assieme ai sopravvissuti che seguivano l'auto del giudice, sia Falcone sia la moglie; entrambi erano ancora vivi. Quel giorno, il 23 maggio 1992, è un giorno che ha cambiato per sempre la vita di Giuseppe Costanza nato il 18 Novembre del 1947 e dal 1984 impegnato nel servizio di scorta del giudice Falcone.

Giuseppe Costanza è sopravvissuto a quell'attentato e non dimentica i pochi attimi antecedenti la tragedia. «L'ultima cosa che ricordo del dottor Falcone è che gli chiesi quando dovevo andare a riprenderlo; mi rispose lunedì mattina». Poi ricorda di aver detto al magistrato: «Allora appena arriva a casa cortesemente, mi dia le mie chiavi in modo che io lunedì mattina posso prendere la macchina». In quel momento, secondo i racconti di Giuseppe Costanza, il giudice Falcone estrasse «forse perché sovrappensiero» le chiavi dal cruscotto nel gesto di consegnarle. In quell'occasione Costanza disse le sue ultime parole al giudice: «Cosa fa? Così ci andiamo ad ammazzare». Poi l'esplosione. Il tentativo di soccorrere il giudice e la moglie, l'arrivo delle ambulanze ma tutto fu vano.

Quando Costanza si risvegliò era in ospedale e non aveva ancora capito che quell'uomo cui era stato accanto per più di otto anni non c'era più. «Sopravvivere è stata una condanna sia per me sia per i miei figli». Figli cresciuti con accanto un uomo che era l'ombra di se stesso, dilaniato profondamente dal dolore per ciò che era accaduto e incredulo per come, fino a oggi, lo Stato si è comportato con lui. Indifferenza totale, in ventidue anni Giuseppe Costanza non è mai stato invitato a una commemorazione ufficiale, invisibile per le istituzioni. Completamente dimenticato dallo Stato che ha servito per più di trentotto anni, Costanza dopo l'attentato fu spostato in un angolo remoto del ministero degli Interni fino al 2002, anno del suo pensionamento. «In questo paese per essere ricordati bisogna essere morti» racconta ancora con voce rotta dalla commozione. «Io ero impegnato moralmente con il giudice Falcone» ci tiene a ricordare Costanza. Pur essendo passati più di vent'anni da quel tragico 23 maggio, Giuseppe Costanza vive nell'impossibilità di capire e farsi una ragione del perché sia stato isolato e abbandonato dalle istituzioni. Oltre al disagio morale, esiste un ostacolo che non è stato ancora superato. Infatti è oggi pendente di fronte al Tribunale una causa civile per i benefici di legge per le vittime di attentati di mafia. Per fortuna

Costanza ha trovato nell'avvocato Maurizio Guerra un amico che ha promosso la causa per riuscire ad avere ciò che la legge prevede per chi ha subito danni dovuti ad attentati per mafia. «Le sembra possibile che io debba fare una causa per avere ciò che mi sarebbe garantito dalla legge? -chiede Costanza- Non dovrebbe essere lo Stato stesso che in modo autonomo cerca di risarcire le vittime?» ci fa osservare Costanza nella speranza di poter essere lui un caso che permetta di dare risposte alle tante vittime fino a oggi ancora senza voce e abbandonate dalle istituzioni.

Sì perché se già sembra impossibile che a ventidue anni di distanza uno dei sopravvissuti della strage di Capaci non sia stato ancora risarcito, sia moralmente sia civilmente, ancor più drammatica e triste appare la possibilità che Giuseppe Costanza sia solo uno dei tanti servitori dello Stato abbandonati e dimenticati dalle istituzioni.
twitter: @terzigio

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